Contratti di lavoro: CCNL verso la riforma

di Barbara Weisz

14 Gennaio 2016 15:28

Salario minimo nei contratti nazionali di tutti i lavoratori per legge, contrattazione di secondo livello e premi produttività: in dettaglio la proposta di riforma dei CCNL.

contratto di lavoro
Estensione a tutti i lavoratori dei
minimi salariali, inclusi nei contratti collettivi nazionali e stabiliti per legge: è la proposta di riforma avanzata dai sindacati confederali CGIL, CISL e UIL in base alla quale parte ora un confronto con le imprese. Il documento Un moderno sistema di relazioni industriali conferma la funzione dei CCNL come “primaria fonte normativa e centro regolatore dei rapporti di lavoro”, nel cui ambito prevedere anche le linee guida per la contrattazione di secondo livello (aziendale, territoriale, di distretto, di sito, di filiera).

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Contratto nazionale

«..con la determinazione delle retribuzioni, dovrà continuare a svolgere un ruolo di regolatore salariale, uscendo dalla sola logica della salvaguardia del potere d’acquisto, che nasceva da un’esigenza di contenimento salariale in anni di alti tassi di inflazione, per assumere nuova responsabilità e ruolo”.

Minimi salariali

Una «alternativa all’ipotesi del salario minimo legale, sancita attraverso un intervento legislativo di sostegno, che definisca l’erga omnes dei CCNL dando attuazione a quanto previsto dall’articolo 39 della Costituzione (sulla libertà di organizzazione sindacale, ndr)”.

In parole semplici, si chiede una legge che sancisca la validità per tutti dei minimi salariali previsti dai contratti collettivi. I quali, nella determinazione delle retribuzione, dovranno tener conto delle dinamiche macro-economiche (non solo riferite all’inflazione), degli indicatori di crescita economica e degli andamenti settoriali.

Riforme CCNL

Sono tre i pilastri sui quali si fonda il documento dei sindacati: contrattazione, partecipazione e rappresentanza (già oggetto di accordo sindacati-imprese). Per quanto riguarda la contrattazione di secondo livello, si propone un’ampliamento del salario di produttività, da incentivare in modo strutturale anche sul fronte della tassazione, nonchè la partecipazione dei lavoratori alla governance.

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Si affronta anche il tema della flessibilità, con la richiesta di tornare indietro rispetto al Jobs Act in materia di licenziamenti: niente limitazione dell’articolo 18 (previsto dalla Riforma del Lavoro con il decreto sui contratti a tutele crescenti); ripristino della contrattazione per i licenziamenti economici collettivi e disciplinari, “secondo il principio della proporzionalità fra mancanza e sanzione”; marcia indietro sulla disciplina delle mansioni, anch’essa da ricondurre alla contrattazione (e non ad accordi individuali).