Incrementare la produttività favorendo la conciliazione dei tempi vita-lavoro: è l’obiettivo dello smart working, ovvero il lavoro agile su cui il Governo ha presentato un disegno di legge collegato alla Legge di Stabilità 2016. Lo smart worker è un lavoratore dipendente che esegue la prestazione fuori dai locali aziendali, anche per un solo giorno a settimana, utilizzando strumenti tecnologici per lavorare in remoto (pc, smartphone, tablet) senza postazione fissa in ufficio.
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Accordo regolamentato
La legge contiene nove articoli che regolamentano retribuzione, orari, controlli e privacy, sicurezza e infortuni sul lavoro. Un testo snello, che fissa i principi di base e lascia poi spazio alla contrattazione decentrata per ulteriori accordi. E’ necessario un accordo scrittocon l’impresa, che fissa modalità di utilizzo dei device tecnologici, fasce orarie di riposo, controlli del datore di lavoro (che devono rispettare le norme su privacy e controlli a distanza, appena riviste dal Jobs Act).
La retribuzione non può essere inferiore a quella dei colleghi che lavorano in ufficio e l’INAIL copre regolarmente gli infortuni sul lavoro, sia fuori dall’ufficio sia sull’eventuale percorso casa-lavoro (ad esempio, fino allo spazio di coworking).
Incentivi al lavoro agile
Per i contratti di smart working si possono applicare gli incentivi fiscali destinati alla contrattazione di secondo livello: su 430 milioni di euro nel 2016, in base a quanto previsto dal Jobs Act (dlgs 80/2015, sulla conciliazione dei tempi vita lavoro), il 10% potrà andare alle nuove misure di flessibilità sul lavoro.
Smart Working in Italia
Nell’attesa di conoscere nel dettaglio il contenuto dei nove articoli, che devono essere discussi in Parlamento insieme alla Legge di Stabilità 2016, qualche dato sulla diffusione in Italia: i dati dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano indicano che una grande azienda su due ha già adottato politiche di lavoro agile, mentre fra le PMI il fenomeno è poco diffuso: solo il 5% delle imprese di piccola e media dimensione ha avviato progetti strutturati, con un altro 9% che prevede logiche di flessibilità e autonomia.
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Nelle grandi imprese l’utilizzo dello smart working è aumentato nel 2015, con progetti avviati nel 17% delle organizzazioni contro l’8% del 2014, mentre un altro 14% è in “fase esplorativa” e il 17% ha varato iniziative di flessibilità solo per alcuni profili. Nella maggior parte dei casi si conta su computer, tablet e smartphone per lavorare fuori ufficio e strumenti social (social network, instant messaging, forum, blog) per la collaboration. Rari in casi in cui il ricorso allo Smart Working comporta cambiamenti strutturali nell’organizzazione e negli spazi degli uffici. I reparti aziendali che più frequentemente utilizzano lo smart working sono direzione ICT, Acquisti e Amministrazione.
Per quanto riguarda invece il coworking, spazi di lavoro condivisi fra professionisti e aziende: sono 349 in Italia gli spazi di coworking. Anche se non sperimentano strutturalmente forme di smart working, il 49% delle PMI utilizza i device tecnologici che consentono di lavorare anche fuori ufficio, e il 34% usa strumenti di social collaboration (social network, chat, web conference, condivisione di documenti).