Fra gli incentivi che puntano a stimolare la permanenza in servizio dei lavoratori che raggiungono un diritto a pensione, in Manovra 2025 c’è il potenziamento del Bonus Maroni, esteso a chi matura la pensione anticipata. Lo strumento, fruibile su domanda, permette di non subire più la trattenuta previdenziale a suo carico, facendosela invece pagare in busta paga.
Finora riservato ai soli lavoratori che maturavano il diritto alla Quota 103, la Legge di Bilancio 2025 lo estende a tutti coloro che potrebbero ritirarsi con la pensione anticipata ma rimangono invece al lavoro con uno stipendio più ricco e il bonus defiscalizzato.
Come funziona il Bonus Maroni 2025
A partire dal 2025, oltre a coloro i quali maturano i requisiti per la Quota 103 (la cosiddetta pensione anticipata flessibile, che spetta con 62 anni di età e 41 anni di contributi), anche i dipendenti che maturano la pensione con 42 anni e dieci mesi di contributi e le lavoratrici che raggiungono 41 anni e dieci mesi possono chiedere al proprio datore di lavoro di esercitare il diritto all’incentivo alternativo alla pensione anticipata ordinaria (di cui alla Legge Fornero).
Nella pratica, a partire dal momento in cui avrebbero ottenuto il primo assegno di pensione, possono invece continuare a lavorare smettendi però di versare la quota a proprio carico di contributi previdenziali, pari al 9,19% della retribuzione lorda imponobile.
C’è anche un’ulteriore agevolazione, determinata dal fatto che questa somma aggiuntiva in busta paga non contribuisce a formare la base imponibile, quindi è defiscalizzata.
Incentivo alternativo alla pensione anticipata: pro e contro
Si tratta di una scelta e non di un obbligo. Nel caso in cui si decida di utilizzare questo strumento, pertanto, si otterrà una busta paga più alta perchè la trattenuta previdenziale confluirà nello stipendio. Diversamente, si può esercitare il diritto a pensione facendone esplicita domanda.
NB: il Bonus Maroni non scatta in automatico, ma va comunque richiesto al datore di lavoro; diversamente non viene accreditato in busta paga, neppure se il lavoratore non ha esercitato il diritto a pensione.
Impatto sulla pensione futura
L’esercizio di questa opzione comporta, però, non comporta soltanto un aumento dello stipendio negli ultimi anni lavorativi ma anche un minor versamento di contributi utili ai fini previdenziali, perché continuano a essere regolarmente pagati solo quelli a carico dell’azienda. Il montante contributivo utile ai fini previdenziali continua quindi ad aumentare ma in misura inferiore.
C’è da considerare che il requisito per la pensione anticipata è comunque alto, quindi il Bonus Maroni riguarda lavoratori con più di 41 o 42 anni di contributi, per i quali può quindi essere comunque conveniente l’esercizio di questa opzione.
Cosa cambia per chi matura la Quota 103
Il disegno di legge della Manovra chiarisce che continuano ad avere diritto al Bonus Maroni anche i lavoratori che maturano la Quota 103 nel 2025. Anche per questa platea è prevista la defiscalizzazione della somma che confuisce in busta paga invece che all’Istituto previdenziale, contrariamente a quanto previsto negli anni scorsi.
Bonus Maroni: i motivi del potenziamento
La disposizione potenzia uno strumento che fino ad oggi non ha riscosso particolare successo. In base alla relazione tecnica di accompagnamento alla Legge di Bilancio, l’adesione è stata limitata sia nel 2023 sia nel 2024. Con l’allargamento della platea e la nuova defiscalizzazione il Governo stima prudenzialmente circa 7mila adesioni.
Il potenziamento del bonus Maroni si inserisce in una precisa strategia che mira a ritardare il pensionamento con incentivi che rendano questa scelta conveniente.
Le altre novità in Manovra 2025 per la permanenza al lavoro
In Manovra c’è anche l’equiparazione del limite ordinamentale nel pubbico impiego – elevato per tutti fino all’età per la pensione di vecchiaia – al requisito della pensione di vecchiaia nel privato: consente, a chi ha maturato il diritto alla pensione anticipata, di restare al lavoro fino a 67 anni.
Ripristinato anche l’istituto del trattenimento in servizio, che era stato praticamente abolito nella stragrande maggioranza delle pubbliche amministrazioni. Di contro, è abrogato il collocamento a riposo d’ufficio. Il trattenimento in servizio deve comunque avvenire su base volontaria: l’amministrazione decide solo a fronte di una richiesta del dipendente, il quale può teoricamente restare al lavoro fino ai 70 anni.
L’ente di appartenenza ha tuttavia da rispettare un limite del 10% delle richieste rispetto alle nuove assunzioni programmate. Il trattenimento in servizio è comunque correlato a specifiche attività da svolgere come il tutoraggio e l’affiancamento dei neoassunti oppure ad esigenze funzionali non diversamente assolvibili.