La restituzione integrale della NASpI liquidata in anticipo non è sempre lecita: la Corte Costituzionale si è espressa in questo modo in merito alla legittimità del rimborso imposto al contribuente quando l’attività imprenditoriale intrapresa si è interrotta per cause di forza maggiore.
Il riferimento di legge è l’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183).
Con la sentenza n. 90/2024, la Consulta ha dichiarato parzialmente incostituzionale la disciplina che obbliga alla restituzione integrale della NASpI anticipata se l’attività avviata dal disoccupato fallisce per cause non imputabili al lavoratore.
Non si parla di restituzione illegittima se l’attività di impresa non va a buon fine per motivi strettamente di mercato: il lavoratore che accetta di sperimentare l’avvio di un’attività beneficiando dell’indennità NASpI pagata in anticipo per intero, infatti, si assume anche il relativo rischio d’impresa.
Se il lavoratore opta per l’incentivo all’autoimprenditorialità, percependo subito e integralmente, senza le condizionalità dell’art. 7 citato, quanto altrimenti conseguirebbe periodicamente e sub condicione, è ben evidente che deve “mettere in conto” il possibile esito negativo dell’attività di impresa, essendo esso compreso in tale calcolo di convenienza.
In caso di impossibilità sopravvenuta, invece, il totale recupero del sussidio erogato di disoccupazione erogato in un’unica soluzione per poter aviare un’attività d’impresa autonma diventerebbe eccessivamente gravosa e del tutto improporzionale.
Va, quindi, dichiarata l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015, nella parte in cui non limita l’obbligo restitutorio dell’anticipazione della NASpI nella misura corrispondente alla durata del periodo di lavoro subordinato, quando il lavoratore non possa proseguire, per causa sopravvenuta a lui non imputabile, l’attivita’ di impresa per la quale l’anticipazione gli e’ stata erogata.
Ma quali sono le cause non impitabili al lavoratore che impediscono la prosecuzione dell’attività imprenditoriale senza comportare la restituzione della NASpI anticipata?
Nel caso esaminato dalla Corte, si trattava della chiusura dell’attività (un bar) a causa della pandemia Covid e della contestuale instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per il quale era stata riconosciuta l’indennità.
Secondo il parere della Consulta, impedire ad lavoratore di sostentarsi accettando un lavoro nel periodo di copertura della NASpI sarebbe una violazione dei suoi diritti, pertanto la restituzione dell’indennità deve corrispondere alla quota corrispondente alla durata del periodo di lavoro subordinato svolto.
Salvo occasioni di lavoro autonomo, il lavoratore, per non essere obbligato a restituire integralmente l’anticipazione, dovrebbe rimanere inattivo e attendere – senza lavorare, appunto – la scadenza del periodo per il quale e’ stata concessa l’anticipazione; cio’ che potrebbe finanche privarlo dei mezzi di sussistenza.
E’ configurabile, pertanto, la violazione dell’art. 4 della Costituzione.