L’assemblea del CNEL ha approvato nella riunione del 12 ottobre il rapporto “Elementi di riflessione sul salario minimo” elaborato su richiesta del Governo, come punto di partenza per inserire eventuali misure sul salario minimo nella Legge di Bilancio.
Invece, non sembra essere passata la proposta di sperimentazione di una tariffa retributiva minima da affiancare in alcuni settori alla contrattazione salariale.
Vediamo le ultime novità sul tema e le reazioni di imprese e sindacati.
Rapporto CNEL su salario minimo e CCNL
La contrattazione collettiva in Italia, come emerso nel documento CNEL, già copre il 95% del lavoro dipendente ed il salario medio è in linea con i criteri di adeguatezza UE. I contratti firmati dai sindacati più rappresentativi coprono il 92% del totale, quelli siglati da rappresentanze non riconosciute dal CNEL rappresentano lo 0,4% dei lavoratori di cui si conosce il contratto applicato.
Fra le criticità emerse dal rapporto CNEL si individuano però i seguenti punti deboli del mercato del lavoro italiano:
- la presenza di settori con CCNL che non garantiscono salari adeguati;
- gli schemi contrattuali che escono dal lavoro dipendente (parasubordinati, Partite IVA, stage);
- il lavoro sommerso, le disparità territoriali;
- un abuso dell’apprendistato senza componente formativa del part-time involontario, dei contratti a termine e del lavoro occasionale.
La diffusione dei contratti collettivi
Sotto quesrto profilo, l’Italia non è obbligata a far nulla per adeguarsi, in virtù dell’ampia copertura della contrattazione collettiva.
«La questione centrale, rispetto agli obblighi imposti dalla direttiva europea, è quella di misurare in modo attendibile il tasso complessivo di copertura della contrattazione collettiva», si legge nel report. «I dati a disposizione indicano, al riguardo, un tasso di copertura della contrattazione collettiva che si avvicina al 100%: una percentuale di gran lunga superiore all’80%».
Il tasso di copertura misurato è pari al 95% del lavoro dipendente. «Da qui la piena conformità dell’Italia ai due principali vincoli stabiliti dalla direttiva europea e cioè l’assenza di obblighi di introdurre un piano di azione a sostegno della contrattazione collettiva ovvero una tariffa di legge».
La contrattazione pirata riguarda lo 0,4% dei contratti: il report la definisce «marginale nella larga maggioranza dei settori produttivi, per quanto fattore di grave perturbazione del sistema di relazioni industriali e anche di corretta concorrenza tra le imprese con particolare riferimento ad alcune aree geografiche del Paese e in alcuni settori produttivi».
Si segnala la criticità rappresentata dal lavoro para-subordinato e dall’abuso dei tirocini formativi, «aree di lavoro non subordinato che fuoriescono formalmente dal campo di applicazione della contrattazione collettiva per effetto di prassi contrattuali poco o nulla trasparenti e dove spesso è possibile rinvenire fenomeni elusivi delle tutele di legge e di contratto collettivo».
L’adeguatezza del salario medio contrattuale
Rispetto all’adeguatezza dei salari, c’è una premessa: non è facile calcolare il salario medio previsto dai contratti, «anche in ragione del fatto che la struttura della retribuzione in Italia non è pensata in funzione di una tariffa oraria e che, diversamente da molti altri Paesi, esistono in Italia voci retributive sui generis come la tredicesima, la quattordicesima, l’elemento di garanzia rispetto alla contrattazione decentrata di produttività».
E negli ultimi decenni le stesse parti sociali si sono concentrate, specialmente in alcuni settori, su forme di welfare aziendale piuttosto che sui minimi tabellari.
In ogni caso, si legge, i dati ufficiali di Istat stimano in 7,10 euro il 50% del salario medio e in 6,85 euro il 60% del salario mediano.
E «nel complesso, pur con non trascurabili eccezioni, il sistema di contrattazione collettiva di livello nazionale di categoria supera più o meno ampiamente dette soglie retributive orarie». Quindi, c’è conformità rispetto al Regolamento europeo, in base al quale i contratti devono superare il 50% del salario medio orario o il 60% di quello mediano.
Rinnovo contratti: nota dolente
Ci sono però delle criticità. Una legata al rinnovo dei contratti: al 1° settembre 2023 risulta che al 54% dei lavoratori dipendenti del settore privato si applicano contratti collettivi nazionali di lavoro che, fatte salve le precisazioni che seguono, sono tecnicamente scaduti.
In realtà, rileva il CNEL, «non sempre ritardo è sinonimo di non adeguatezza del salario o di assenza di meccanismi di vacanza contrattuale». La seconda relativa alla corretta applicazione dei contratti e al ricorso a forme di lavoro irregolare in settori specifici (agricoltura, turismo, pubblici esercizi, logistica, lavoro sportivo, culturale e artistico, cura della persona, appalti). In questi casi, «risultano tuttavia necessari opportuni approfondimenti per comprendere i dati fattuali e la loro possibile lettura rispetto al tema del salario minimo».
Part time involontario e stagionali
Infine, bisogna considerare il dato relativo alle giornate medie retribuite. In Italia, sono 235, ma ci sono disomogeneità settoriali. Nei servizi di alloggio e ristorazione le giornate medie sono 143.
La Banca d’Italia evidenzia come forme di lavoro temporaneo e part‑time contribuiscano in modo marcato alla dispersione dei redditi annui da lavoro dipendente, fortemente aumentata nel settore privato tra il 1990 e il 2021 soprattutto a causa della diminuzione delle settimane lavorate a tempo pieno e a retribuzioni settimanali in media più basse per gli occupati a tempo parziale o a termine.
Il differenziale retributivo per genere «risulta significativamente correlato alla maggiore presenza di lavoro part-time tra le lavoratrici», la differenza retributiva per età «è strettamente connessa alla presenza di lavoro stagionale o a termine soprattutto nelle classi di età più giovani».
Marcate differenze si riscontrano poi con riferimento all’area geografica analizzata, un «aspetto di particolare delicatezza e rilevanza rispetto a quanti prospettano oggi interventi normativi sul salario minimo differenziati su base territoriale così da tenere conto anche del diverso costo della vita».
Le proposte CNEL
Gli esperti del CNEL concludono il proponendo alcune considerazioni.
«Quale che sia la decisione politica in merito alla introduzione o meno nel nostro ordinamento giuridico di un salario minimo fissato per legge», ritengono utile e urgente un piano di azione nazionale «a sostegno di un ordinato e armonico sviluppo del sistema della contrattazione collettiva in termini di adeguamento strutturale di questa fondamentale istituzione di governo del mercato del lavoro alle trasformazioni della domanda e della offerta di lavoro e quale risposta sinergica, là dove condotta da attori qualificati e realmente rappresentativi degli interessi del mondo del lavoro, tanto alla questione salariale (per tutti i lavoratori italiani e non solo per i profili professionali collocati agli ultimi gradini della scala di classificazione economica e inquadramento giuridico del lavoro) quanto al nodo della produttività».
Il tema non è «quanta parte della retribuzione debba mantenersi in capo alla contrattazione collettiva, bensì invece come estendere le migliori pratiche di contrattazione alla generalità del lavoro».
Infine, è importante «un attento monitoraggio della contrattazione di produttività di secondo livello e delle misure di sostegno al welfare aziendale di modo che i benefici della fiscalità generale vadano effettivamente a favore di quelle imprese che investono sulla qualità del lavoro e garantiscono trattamenti retributivi minimi e complessivi adeguati nel rispetto dei principi costituzionali».
Questi temi sono stati al centro dell’assemblea del 12 ottobre, nel corso della quale è stato votato il documento na non la proposta dei cinque consiglieri esperti nominati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il dibattito e le reazioni
Il dibattito politico sul tema è tornato ad accendersi con la proposta di legge delle opposizioni che prevede un salario minimo contrattuale di 9 euro all’ora lordi, sotto il quale non possono andare i contratti ed una maggiore aderenza alla Direttiva UE del 2022, in base alla quale gli stati membri devono o fissare un salario minimo per legge o avere una contrattazione collettiva che copra almeno l’80% dei lavoratori.
A margine dei lavori CNEL della giornata, il vicepresidente Claudio Risso (CISL) ha dichiarato:
Il lavoro istruttorio e di analisi svolto dal CNEL contribuisce a chiarire come l’introduzione di un salario minimo legale non risolverebbe la grande questione del lavoro povero che va ben oltre il tema delle retribuzioni.
“La povertà lavorativa riguarda, infatti, la quantità di lavoro nell’arco dell’anno per chi vive di contratti precari e intermittenti, la composizione del reddito all’interno del nucleo familiare e l’azione redistributiva dello Stato. Quanto ai trattamenti retributivi giusti e dignitosi, il CNEL ritiene che la contrattazione collettiva sia ancora oggi la sede da privilegiare e valorizzare sottolineando l’importanza di controlli e interventi di vigilanza nell’estesa area della parasubordinazione e del finto lavoro autonomo. Questa posizione era condivisa da tutte le confederazioni sindacali sino a pochissimi anni fa. E sarà pertanto doveroso, su un tema così importante e nell’interesse dei lavoratori, lavorare da domani, quando si spegneranno i riflettori sul tema del salario minimo, per ricomporre l’unità del sindacato, che è forte se rimane autonomo dalla politica”.
Lato imprese, il vicepresidente Floriano Botta, di Confindustria ha aggiunto:
L’intera rappresentanza datoriale, pur nelle sue diverse espressioni di settore, si è dimostrata compatta nel difendere il sistema della contrattazione collettiva, rispetto a soluzioni semplicistiche di un problema complesso, come quello del lavoro povero.
Nella serata del 12 ottobre, il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha ricevuto dal Presidente del CNEL, Renato Brunetta, il documento con gli esiti dell’istruttoria sul lavoro povero e il salario minimo. Il suo commento:
Come sottolineato dal CNEL, occorre programmare e realizzare, nell’ambito di un piano di azione pluriennale, una serie di misure e interventi organici. È la strada che il Governo intende intraprendere nel minor tempo possibile, tenendo in massimo conto le indicazioni e i suggerimenti formulati nel documento.