Ci saranno misure sul salario minimo nella prossima Legge di Bilancio? La risposta, con ogni probabilità, è negativa.
Sull’argomento il Governo manifesta interesse e disponibilità al dialogo ma, ad oggi, resta contrario all’ipotesi. Però in Parlamento è in corso un dibattito sulla proposta di legge delle opposizioni sul salario minimo a 9 euro all’ora.
E in realtà, in queste ultime settimane di ripresa post ferie, si evidenziano elementi di lieve apertura da parte di rappresentanti dell’esecutivo.
Salario minimo, la posizione del Governo
Per esempio, la ministra del Lavoro, Marina Calderone, nel sul intervento alla 49esima edizione del Forum The European House Ambrosetti di Cernobbio ha dichiarato:
Abbiamo bisogno di lavoro regolare e di sottrarre all’illegalità le tante persone che lavorano in condizioni non visibili e non regolari. Non credo si possa dire che l’intervento si esaurisca solo ed esclusivamente con l’introduzione di un salario minimo legale fissato per legge.
Una posizione ancora contraria ma meno rigida dell’esclusione che veniva proposta nei mesi scorsi. Ancora più possibilista la dichiarazione rilasciata dalla stessa ministra nel corso del meeting di Rimini:
Ci sono appuntamenti parlamentari, c’è la proposta delle opposizioni, c’è il lavoro che è stato chiesto al Cnel e c’è il lavoro del ministero e del governo. I prossimi sessanta giorni saranno importanti anche per intercettare l’altro grande tema che è la manovra di bilancio.
I salari in Italia
Il Governo resta convinto che la strada sia quella del potenziamento della contrattazione (Calderone lo ha ribadito a Cernobbio), ma il tema del salario minimo è sul tavolo. C’è un punto di partenza rappresentato dai fatti: i salari in Italia sono bassi rispetto a quelli dei partner europei e dei competitori internazionali.
Lorenzo Bini Smaghi, nell’intervento contenuto nel Global Attractiveness Index 2023 di TEHA, definisce insoddisfacente il ranking dell’Italia su tre grandi questioni: livello dei salari, digitalizzazione, ricerca e sviluppo.
«In Italia ci sono troppo poche grandi aziende che si possono permettere di remunerare in modo competitivo i propri dipendenti, che si adeguano alle nuove tecnologie e investono in ricerca e sviluppo per essere concorrenziali», sintetizza l’economista.
Confronto fra stipendi italiani ed europei
Non a caso, un intervento urgente sui salari è fra le proposte per l’attrattività del Paese formulate dal Gai (il sopra citato Global Attractiveness Index).
Il motivo: l’Italia è l’unico, fra i grandi paesi europei, a registrare salari addirittura più bassi di 30 anni fa.
Nel 2022, il salario medio in Italia era pari a 44mila 893 dollari (42mila 90 euro), nel 1991 era di 45mila 342 dollari. In Germania il salario medio è più alto di quello italiano di 14mila dollari, in Francia di 8mila dollari. In Spagna lo stipendio medio è più basso di quello italiano (42mila 859 dollari), ma è cresciuto dal 1991. In più, l’Italia ha un cuneo fiscale fra i più alti del mondo (il quinto fra i paesi OCSE, dietro solo a Belgio, Germania, Francia e Austria).
Riassumendo: al di là delle soluzioni che si vogliono proporre, emerge l’urgenza di affrontare il tema dei salari. La legge europea sul salario minimo non obbliga l’Italia ad alcun adeguamento. Le due strade previste sono: salario minio per legge oppure contrattazione adeguatamente diffusa. L’Italia rientra già nella seconda ipotesi. Ma i dati sopra citati mostrano come l’esigenza di intervenire ci sia.
La posizione di imprese e sindacati
Concludiamo con le parti sociali. Un utile specchietto contenuto in un bolettino speciale ADAPT dedicato al salario minimo mostra come fra i sindacati ci sia una netta contrarietà della Cisl, che sostiene il primato della contrattazione, e una posizione invece più possibilista di Cgil e Uil: in entrambi i casi si afferma la centralità della contrattazione, supportata da una soglia minima contrattuale prevista per legge. Fra le associazioni datoriali, invece, c’è una contrarietà diffusa. Fra gli altri, Confindustria, Confartigianato, Confcommercio, si esprimono, pur con diverse sfumature, a favore della contrattazione collettiva, che rischia invece di perdere rilevanza con il salario minimo di legge. Fra le eccezioni, Confimi Industria non vede sfavorevolemtne l’introduzione di un salario minimo, pur nella cornice del rilancio della contrattazione collettiva. Ci sono posizioni più articolate, come quella di Federdistribuzione per cui il salario minimo potrebbe essere applicato solo ai settori non regolati dalla contrattazione collettiva.