Il lavoro in smart working non cambia le regole sulla residenza fiscale e sul regime di tassazione applicabile. Quindi, chi svolge la sua attività in Italia anche se in lavoro agile per un datore di lavoro estero, pagherà le tasse in Italia. Viceversa, un lavoratore che si trasferisce all’estero, anche se continua a lavorare in smart working per un’impresa italiana, viene sottoposto alla tassazione del paese in cui risiede.
I dettagli sono contenuti nella nuova circolare 25/2023 dell’Agenzia delle Entrate. Vediamo i dettagli.
Smart working e residenza fiscale
Ci sono una serie di regole specifiche per i casi in cui residenza e dimora abituale non coincidono, e per l’applicazione di regimi fiscali speciali, come quello dei rimpatriati o dei docenti e ricercatori.
Le norma sulla residenza sono stabilite dall’articolo 2, comma 2, del TUIR, Testo unico imposte sui redditi (legge 197/1986). Prevede che si consideri residente in Italia chi per la maggior parte dei giorni dell’anno rientri in una delle seguenti casistiche:
- in Anagrafe della popolazione residente: in questo caso, non rilevano la dimora abituale o il fatto che il residente trascorra lunghi periodi all’estero. Le persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente si considerano in ogni caso residenti, e pertanto soggetti passivi d’imposta, in Italia;
- domicilio nel territorio dello stato: è la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali. Anche qui, non sono necessarie continuità o definitività (Cass. n. 2561/1975; Cass. SS UU n. 5292/1985), il requisito permane anche se il soggetto lavora o svolge altre attività al di fuori del comune di residenza (del territorio dello Stato), purché conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l’intenzione di mantenervi il centro delle relazioni familiari e sociali;
- residenza nel territorio dello stato.
Esempi di applicazione
Queste regole si applicano anche nel caso dello smart working. In altri termini, si legge nella nuova circolare del Fisco, le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa non incidono sui criteri di determinazione della residenza fiscale.
Casi specifici
- Cittadino straniero, non iscritto all’Anagrafe della popolazione residente, che lavora in smart working per un datore estero dall’Italia, dove vive per la maggior parte dell’anno insieme al coniuge e ai figli: non risulta soddisfatto il requisito formale di iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente, ma bisogna considerare che per la maggior parte del periodo d’imposta il cittadino estero mantiene stabilmente nel territorio dello Stato sede principale dei suoi rapporti personali e affettivi e dimora abituale. Quindi, la residenza fiscale si considera in Italia.
- Cittadino italiano trasferito all’estero, dove lavora in smart working, mantenendo l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia: paga le tasse in Italia, anche se sposta residenza o domicilio.
- Cittadino italiano iscritto all’AIRE che lavora in smart working nello stato estero di residenza: può considerarsi fiscalmente residente in Italia se mantiene nel Paese la dimora abituale, dalla quale svolga la prestazione lavorativa con modalità agile.
Regime speciale per impatriati
La stessa regola si applica nel caso dell’agevolazione prevista dall’articolo 16 del decreto legislativo 147/2015, il regime fiscale agevolato per lavoratori impatriati (che tornano in Italia dopo due anni all’estero e ci rimangono per almeno due anni).
L’agevolazione si applica a partire dal periodo di imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia e per i successivi periodi di imposta agevolabili, relativamente ai soli redditi che si considerano «prodotti in Italia». La regola di coordinamento con lo smart working è la seguente:
- può accedere al «regime speciale per lavoratori impatriati» il soggetto che trasferisce la propria residenza in Italia, pur continuando a lavorare in smart working alle dipendenze di un datore di lavoro estero, a partire dal periodo d’imposta in cui avviene il trasferimento in Italia;
- non potrà continuare a fruire dell’agevolazione in esame il soggetto che, trasferitosi a lavorare in Italia, successivamente traslochi all’estero pur continuando a svolgere dalla nuova località la propria prestazione lavorativa per il medesimo datore di lavoro italiano in modalità smart working, in quanto in tal caso i redditi si considerano prodotti fuori dal territorio italiano.
Regime speciale per docenti e ricercatori
E’ più complessa la situazione per docenti e ricercatori che rientrano nell’agevolazione prevista dall’articolo 44 del decreto legge 78/2010.
In questo caso, la norma agevolativa prevede un collegamento fra il trasferimento in Italia e lo svolgimento dell’attività produttiva del reddito agevolabile. L’agevolazione spetta nel caso in cui docenti e ricercatori «abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all’estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi» e «vengono a svolgere la loro attività in Italia, acquisendo conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato».
Quindi, secondo la Circolare 25/E, un docente o un ricercatore trasferitosi in Italia che intrattenga un rapporto di lavoro con un Ente o con una Università situata in uno Stato estero, per cui svolge la propria attività di docenza o ricerca in modalità smart working non potrà beneficiare dell’agevolazione per i relativi redditi in quanto non sussiste un collegamento tra il trasferimento in Italia e lo svolgimento di una attività di docenza e/o ricerca nel territorio dello Stato.