Il 9,4% dei lavoratori italiani lavora per oltre 49 ore a settimana (contro una media UE del 7%), nonostante la settimana lavorativa sia contrattualmente di massimo 40 ore: è quanto emerge dalle rilevazioni Eurostat relative al 2022. Si tratta di oltre 2 milioni di lavoratori under 64, rispetto ad una media di circa 23 milioni di occupati complessivamente nel nostro Paese.
La tendenza è comunque generale: stakanovisti come e peggio di noi anche irlandesi (9,1%), portoghesi (9,4%), francesi (10,2%) e greci (12,6%).
Non sarà forse un caso questo sforzo profuso nell’extra-lavoro (non necessariamente corrispondente al pagamento degli straordinari) a fronte di una drastica riduzione del potere d’acquisto delle retribuzioni degli italiani, e di un gap in crescita fra dinamica inflazionistica e adeguamento dei salari nei CCNL. Tenersi stretto il lavoro, di questi tempi, è una priorità, soprattutto se l’attività non dà certezze di continuità.
A quanto pare, dunque, assieme allo smart working a oltranza, il post-Covid ci ha lasciato un senso dell’attaccamento che va ben oltre i vincoli contrattuali e la devozione all’azienda per sfociare in un rapporto controverso con quella che è la fonte primaria del reddito familiare: lo stipendio.
Tuttavia, un analogo discorso vale anche per gli imprenditori, se non di più: molto spesso si trovano il peso dell’azienda sulle spalle assieme al destino dei loro dipendenti. In proporzione, infatti, la categoria più votata all’extra-lavoro è proprio questa (45,8%). Vanno forte anche i manager (24%).
A comprova di ciò, il fenomeno riguarda soprattutto gli autonomi: in Europa interessa il 30%, mentre i dipendenti hanno lavorato più del dovuto soltanto nel 4% dei casi.