L’inflazione erode il potere d’acquisto dei salari, ma la crescita degli stipendi in termini assoluti determina un aumento delle tasse. In termini semplici, chi strappa un adeguamento di stipendio dovrà comunque fare i conti con un caro vita che non permette di coglierne i frutti, e per di più pagherà più tasse perché il suo reddito è aumentato.
I lavoratori italiani che stanno hanno subito questo andamento macroeconomico dell’ultimo anno possono consolarsi sapendo di essere in ottima compagnia: in base al report OCSE Taxing Wages 2023, il fenomeno riguarda la stragrande maggioranza delle economie più sviluppate.
L’Italia, però, ha in più il problema di un cuneo fiscale fra i più alti del mondo, di conseguenza il trend sopra riportato ha effetti maggiori. Anche perché non disponiamo di un sistema fiscale flessibile, per quanto alcuni strumenti introdotti negli ultimi anni (come l’Assegno Unico) ne mitighino in parte l’impatto.
Il cuneo fiscale fra i paesi OCSE
In media, nei paesi OCSE le tasse sul lavoro (comprensive della quota a carico dell’azienda e di quella che invece pagano i lavoratori) sono pari al 34,6%. In Italia il cuneo fiscale è di oltre dieci punti percentuali superiore. Nel 2022 era al 45,9%, con un incremento dello 0,5% dal 45,4% dell’anno scorso.
L’incremento del cuneo fiscale è l’elemento che accomuna gran parte delle economie OCSE. Il motivo è quello sopra evidenziato: l’aumento dei salari nominali ha spinto i lavoratori a fasce fiscali più elevate e ha di conseguenza ridotto la loro ammissibilità a crediti d’imposta e benefici in denaro.
Non solo: l’aumento dei salari è solo nominale, perché in realtà non recuperano l’inflazione (anche per evitare la spirale salari-prezzi). Risultato, il potere d’acquisto diminuisce, le tasse sul lavoro salgono.
Il potere d’acquisto degli stipendi
Nel dettaglio, nel 2022 il salario nominale è aumentato in tutte le economie OCSE. I salari reali (cioè, il loro potere d’acquisto) sono diminuiti in 35 dei 38 paesi e il reddito reale medio netto è diminuito in 34 paesi.
Le famiglie più vulnerabili risultano quelle a basso reddito con bambini, soprattutto in presenza di sistemi fiscali e previdenziali non completamente adeguati all’inflazione.
Cuneo fiscale e stipendi in Italia
Tendenzialmente, i paesi europei hanno un carico fiscale più elevato, anche a fronte di uno stato sociale che garantisce maggiori prestazioni rispetto ad altre economie.
In Italia le imposte sul reddito e i contributi previdenziali del datore di lavoro concorrono a rappresentare l’86% del cuneo fiscale totale, a fronte di una media OCSE pari al 77%.
Il cuneo fiscale per un single senza figli è al 45,9%, il quinto più alto nell’intera area OCSE. Sul podio, Belgio, Germania e Francia, seguite dall’Austria. Per un lavoratore sposato con due figli e stipendio pari alla media nazionale, il cuneo fiscale scende al 34,9%, ma resta comunque il sesto più alto fra le 38 economie OCSE e nettamente sopra la media, pari al 25,6%.
Attenzione: il confronto 2021-2022, che incamera l’impatto dell’alta inflazione, vede crescere il cuneo fiscale anche in Italia, ma rispetto al 2020 e agli anni precedenti qualche miglioramento c’è stato, a fronte di una stabilità sostanziale della media OCSE. In altri termini, ci sono alcune misure che hanno avviato una riduzione del cuneo fiscale, che resta anche a fronte di un’annata in controtendenza a causa di variabili macroeconomiche particolari.
Anche la tassazione sul reddito in Italia è più alta della media OCSE, ma in questo caso siamo molto più lontani dal podio. Un lavoratore single paga il 28,8% di tasse, contro una media OCSE del 24,6%. Siamo la decimo posto fra i 38 paesi esaminati. Se il lavoratore ha due figli, la tassazione è al 14,3%, fondamentalmente nella media OCSE (14,1%).