Tratto dallo speciale:

Smart Working applicabile al 40% della forza lavoro

di Barbara Weisz

26 Gennaio 2023 15:40

logo PMI+ logo PMI+
Smart working: in Italia il 40% di mansioni telelavorabili ma solo il 14% di dipendenti a casa nonostante le potenzialità, Governo verso la riforma.

Si dice sempre che il Covid ha dato nuovo impulso allo smart working, tanto la ministra del Lavoro Marina Calderone ha annunciato una riforma del lavoro agile volta ad adeguare la disciplina alla reale situazione del mondo del lavoro, ma in realtà i dati INAPP smentiscono il decollo dello strumento. In Italia solo il 14,9% degli occupati svolge parte dell’attività da remoto, su una platea potenziale del 40%.

In pratica, la quota di personale che effettivamente lavora a distanza è minoritaria, nonostante l’efficacia dello strumento, registrata durante il boom del 2020 dovuto alla pandemia.

Lavoro agile in attesa di riforma

Dopo lo stop alle priorità previste dalla normativa durante la fase Covid, con il diritto mantenuto soltanto per alcune categorie, lo scenario 2023 guarda ora alla riforma dello smart working annunciata dal Ministero del Lavoro.

Nel frattempo è utile comprendere come lo percepiscono le aziende. Utili dati in questo senso sono stati presentati nel corso della giornata di studi “Lavoro agile, definizioni ed esperienze di misurazione” organizzata dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche.

Il dietro front dello smart working

Nell’anno della pandemia anche l’Italia ha sperimentato il boom del lavoro agile, passando dal 4,8% del 2019 al 13,7% del 2020. Nel 2021, tuttavia, il tasso di crescita è rallentato, fermandosi al 14,9% degli occupati. Considerando solo il lavoro dipendente, cresce la dimensione del salto 2020 (dall’1,7 al 12,1%) e si conferma il rallentamento della crescita, con un tasso di dipendenti in smart working pari al 13,8%. I dati per mansione:

La platea dei potenziali smart workers

Il numeri di lavoratori che svolgono mansioni effettuabili in smart working è molto. In media, è pari al 40% della forza lavoro. Ci sono poi differenze a secondo delle dimensioni dell’azienda e del settore.

A svolgere una mansione telelavorabile sono soprattutto i laureati, i dipendenti delle imprese di grandi dimensioni, gli occupati nei servizi e i dipendenti pubblici. Incidenze leggermente superiori alla media delle professioni telelavorabili si rilevano tra le donne, i residenti nel Nord Ovest e nel Centro e le persone con diploma.

Ma il punto, sottolinea il presidente INAPP, Sebastiano Fadda, è che «non emerge quel cambio di paradigma lavorativo che la pandemia sembrava aver innescato». «È come se durante la pandemia avessimo vissuto in ‘una grande bolla’ e il ritorno alla normalità stesse vanificando le potenzialità del lavoro a distanza, a causa di una ridotta capacità di introdurre radicali innovazioni nell’organizzazione del lavoro che preveda una combinazione di fasi di lavoro da remoto con fasi di lavoro in presenza».

Pro e contro dello smart working

L’analisi del mondo del lavoro fa emergere una serie di criticità.

Nelle piccole aziende la percentuale di mansioni telelavorabili è molto più bassa che nelle imprese di grandi dimensioni. Ci sono poi elementi relativi alla percezione di alcuni vantaggi e svantaggi del telelavoro. Qui, per esempio, emerge una differenza di genere con gli uomini, che apprezzano in particolare la maggior autonomia, e le donne, che mostrano invece maggiore preoccupazione riguardo alle prospettive di carriera (50,9%), ai diritti e alle tutele sindacali (52,8%) e al maggiore controllo da parte del datore di lavoro (53,3%).

Vediamo un’infografica che riassume vantaggi e svantaggi dello smart working, anche in termini di percezione da parte di lavoratori e aziende:

«Svolgere una professione teoricamente telelavorabile – sottolinea Fadda – è una condizione necessaria, ma non sufficiente, perché si abbia la possibilità di sperimentare lavoro da remoto.

I dati ci dicono che la quota del lavoro da remoto varia dal 25% per le professioni intellettuali o esecutive al 2% di quelle non qualificate. Dietro questa distribuzione vi è sicuramente il differente grado di fattibilità del lavoro da remoto nelle diverse professioni, ma anche la differente capacità manageriale di adottare nuovi modelli di organizzazione del lavoro facendo uso delle nuove tecnologie digitali».