E’ fra le maggiori novità che la pandemia ha introdotto nel mondo del lavoro, tanto che le soluzioni di smart working nel post Covid sono allo studio di tutti i decision maker: istituzionali, politici e aziendali. L’ultimo spunto di riflessione arriva dalla ministra del Lavoro, Marina Calderone, che annuncia una riforma del lavoro agile ritenendo l’attuale legislazione non più in linea con i tempi.
L’obiettivo a cui tendere è un «modello ibrido», che possa diventare «strumento di lavoro continuo e costante per tutte le aziende pubbliche e private».
Smart working: le regole 2023
Attualmente, il lavoro agile nel settore privato è regolamentato dalla legge 81/2017, che lo definisce nel seguente modo:
modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
La legge contiene una serie di indicazioni sulla forma scritta degli accordi, sui poteri di controllo dei datori di lavoro, su sicurezza, infortuni, diritti e doveri delle parti. Calderone pone tuttavia l’accento sul fatto che questa normativa non sia «più sufficiente per ricomprendere le esperienze fatte durante la pandemia».
Al momento restano applicabili tali regole, con le poche eccezioni previste dalla Legge di Bilancio 2023 – fino a marzo resta il diritto allo smart working (senza discrezionalità da parte dell’azienda) per i lavoratori fragili, che se lo chiedono possono lavorare in modalità agile – in attesa della revisione annunciata dalla Ministra.
Lo smart working dopo la pandemia
Durante il Covid le imprese hanno potuto applicare il cosiddetto smart working semplificato, che non richiedeva accordi individuali ma solo una comunicazione al ministero da parte dell’azienda con i nominativi delle persone in lavoro agile e il periodo di applicazione. Uscendo dal dettato normativo e calandoci nella realtà quotidiana (ovvero in quello che è veramente successo), le aziende hanno applicato lo smart working a tutte o quasi le figure professionali che lo consentono (ovvero che non prevedono la necessità di presenza fisica), soprattutto negli uffici, pubblici e privati, e in tutti i reparti aziendali diversi dalla produzione.
Il lavoro a distanza durante la pandemia ha riguardato anche scuole e sportelli per non fermare dover le attività, ma cessata l’emergenza si è tornati in presenza, mentre negli uffici e nelle aziende sono stati in molti a proseguire a distanza. Lo scenario è oggi assai eterogeneo ed il tema è dibattuto in tutto il mondo. Le soluzioni applicate sono diverse: smart working libero, regole su un minimo di giorni in presenza, rotazioni, obbligo di lavoro in presenza con poche concessione al lavoro agile.
Verso nuove norme sullo smart working
Anche sul fronte normativo, in Italia, ci sono state novità nel post Covid. Per esempio, sono state semplificate le pratiche di comunicazione del lavoro agile da parte delle aziende. Restano necessari gli accordi individuali con i lavoratori ma non bisogna poi inviarli al ministero, basta una comunicazione che li segnali.
Calderone pensa a nuovi passi avanti normativi all’insegna di un «modello ibrido» che permetta di superare le rigidità attuali e definendo:
una piattaforma di diritti e tutele comune a tutti i lavoratori, a prescindere dall’inquadramento, intervenendo su ogni singola tipologia con provvedimenti ad hoc attraverso un investimento sulla contrattazione di secondo livello, in modo da cucire le regole sulle esigenze della singola realtà produttiva.
E’ infine necessario intervenire su alcuni specifici aspetti: formazione, infortunio e malattia, tutele, controlli.