Tratto dallo speciale:

Pensioni in Legge di Bilancio, si riduce la flessibilità in uscita

di Barbara Weisz

30 Novembre 2022 08:43

logo PMI+ logo PMI+
Le scarse risorse tagliano la rivalutazione e la flessibilità in uscita, requisiti invariati solo per lavoratori più deboli: pensioni in Legge di Bilancio.

Alla fine, l’unica proroga vera e propria è quella dell’APE Sociale: per il resto, le misure sulle pensioni in Manovra contengono una serie di novità che vanno dalla stretta sull’Opzione Donna al taglio delle rivalutazioni (con l’unica eccezione delle pensioni minime che invece avranno una perequazione più favorevole).

Di nuovo c’è anche l’introduzione della Quota 103, che prevede 41 anni di contributi e una penalizzazione per chi ha pensione alte. Con l’aggiunta di un meccanismo (sulla falsariga del vecchio Bonus Maroni) per incentivare chi invece, pur avendo maturato il requisito per la Quota 103 decide di restare al lavoro.

Infine, viene abrogato lo scivolo pensioni a 62 anni, previsto dalla Manovra dell’anno scorso per i dipendenti delle piccole e medie imprese in crisi e mai davvero partito.

Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha convocato i sindacati il 7 dicembre per un ulteriore confronto sulla manovra. Il tutto, nell’attesa di una Riforma Pensioni che è rimandata da anni e che dovrebbe essere definita nel corso del 2023.

Vediamo dunque come si compone per il momento il capitolo pensioni in Legge di Bilancio, cercando di mettere in luce quali sono le categorie che ne traggono vantaggio e quali, invece, le persone che vengono penalizzate.

Indicizzazione pensioni 2023 e 2024

Partiamo dalla rivalutazione delle pensioni. L’impianto è lo stesso già descritto in base alle prime bozze: sale la percentuale di perequazione delle pensioni minime, resta al 100% quella degli assegno fino a quattro volte il minimo, scende la rivalutazione dei trattamenti più alti.

C’è però una variazione rispetto alle prime bozze sul modo in cui si rivalutano le pensioni minime: non al 120% come ipotizzato, ma applicando un incremento dell’1,5% per il 2023 e del 2,7% nel 2024. Tenendo presente che la rivalutazione base per il 2023, stabilita in base all’inflazione, è del 7,3%, le pensioni minime si apprezzeranno dell’8,8% nel 2023 e del 10% nel 2024. In termini assoluti, saranno pari a 571,6 euro nel 2023 (con un aumento intorno ai 46 euro rispetto al 2022) e a 581,218 euro nel 2024 (qui l’aumento sale quindi a 56 euro).

Le pensioni fino a 4 volte il minimo (circa 2.200 euro) si rivalutano dal prossimo primo gennaio del 7,3%, perchè la manovra prevede che per questi assegni la perequazione resti di applichi al 100%. Ecco la tabella per le altre pensioni:

  • fra quattro e cinque volte il minimo la perequazione è all’80%. Quindi, l’aliquota di indicizzazione 2023 è pari al 5,84%. In base alla precedente normativa, queste pensioni si sarebbero rivalutate del 90% (quindi del 6,57%).
  • fra cinque e sei volte il minimo la perequazione è al 55%. Di conseguenza, la perequazione 2023 è del 4,015%. In base alla precedente norma, si sarebbero rivalutate al 75%, quindi del 5,4%.
  • fra sei e otto volte il minimo la perequazione è al 50%. Quindi, indicizzazione al 3,6%. La precedente norma prevedeva sempre il 75% (era lo scaglione più alto).
  • fra otto e dieci volte il minimo la perequazione è al 40%. Quindi, l’indicizzazione 2023 è al 2,9%.
  • sopra dieci volte il minimo la perequazione è al 35%, quindi la perequazione da gennaio sarà del 2,55%.

In sintesi, c’è un vantaggio per le pensioni minime, non ci sono variazioni rispetto alle precedenti norme fino a quattro volte il minimo, c’è invece una perequazione più bassa del previsto sopra le quattro volte il minimo. I trattamenti sopra i 2.200 euro (in realtà la cifra è un po’ più alta) perderanno potere d’acquisto man mano che sale l’importo dell’assegno previdenziale.

Pensione a 62 anni con Quota 103

Sul fronte della flessibilità in uscita c’è la nuova Quota 103, che consente di andare in pensione, dal  primo gennaio 2023, con 41 anni di contributi e 62 anni di età. Era una misura ampiamente attesa, il Governo l’aveva preannunciata nelle settimane precedenti all’approvazione della Manovra e alla fine è stata inserita con l’aggiunta di due meccanismi:

  • il primo è un tetto all’assegno previdenziale per chi ha maturato una pensione superiore a 5 cinque volte il minimo, che si applica fino alla maturazione dell’età per la pensione di vecchiaia, 67 anni;
  • il secondo, è un meccanismo che consente a chi resta al lavoro pur avendo il diritto alla quota 103 di chiedere al datore di lavoro di non pagare più contributi, versando la somma corrispondente direttamente in busta paga.

Pro e contro della misura

Il tetto all’assegno che si può prendere ritirandosi con la quota 103 è pari a cinque volte il minimo (circa 2mila 800 euro). Questo, fino al momento in cui non si matura la pensione di vecchiaia.

Attenzione, è un punto importante: i lavoratori che vanno in pensione con la Quota 103, tendenzialmente sono più vicini alla pensione anticipata che non a quella di vecchiaia. Il requisito pieno per la pensione anticipata è pari a 42 anni e dieci mesi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne. La Quota 103 richiede 41 anni di contributi, quindi per le donne il diritto scatta sostanzialmente dieci mesi prima di quello pieno, per gli uomini un anno e dieci mesi prima.

Il blocco dell’assegno a cinque volte il minimo, però, è previsto fino alla maturazione della pensione di vecchiaia, quindi fino al compimento dei 67 anni.

  • Per chi ha maturato una pensione inferiore a cinque volte il minimo, non cambia nulla, perchè l’assegno non subisce decurtazioni e si può andare in pensione prima.
  • Chi invece ha diritto a una pensione più alta, per ritirarsi con la Quota 103, quindi in anticipo rispetto alla maturazione del requisito pieno, subisce una decurtazione.

Che, fra l’altro, prosegue fino ai 67 anni: per i 62 anni, significa cinque anni di pensione più bassa, a fronte di un diritto al trattamento pieno che sarebbe scattato un anno e dieci mesi dopo (oppure, dieci mesi dopo per le donne).

Incentivo alternativo a Quota 103

Come detto, c’è un meccanismo di incentivazione a restare al lavoro per chi potrebbe agganciare la Quota 103: il lavoratore può chiedere all’azienda di non pagare più i contributi all’ente previdenziale, ma di versarli direttamente in busta paga.

E’ un’opzione che può convenire a chi non ha interesse a versare nuovi contributi per aumentare l’assegno previdenziale, per avere uno stipendio più alti negli ultimi anni di carriera.

Opzione Donna 2023

Passiamo all’Opzione Donna: si prevedeva una proroga semplice e invece è arrivata una rimodulazione che fondamentalmente rende più rigido il requisito, limitando la platea a determinate categorie di lavoratrici (molto simili a quelle con diritto all’APE sociale), e alzando il tetto anagrafico, invariato solo per le donne che hanno almeno due figli.

In pratica, possono ritirarsi con l’Opzione Donna le lavoratrici che maturano 35 anni di contributi e 60 anni di età entro il 31 dicembre 2022 (fino a quest’anno, bastavano 58 anni per le dipendenti e 59 per le autonome). Il requisito anagrafico però scende a 59 anni per le donne che hanno un figlio e a 58 anni per le donne che hanno due o più figli.

In più, bisogna far parte di una delle seguenti categorie:

  • caregiver da almeno sei mesi,
  • riduzione della capacità lavorativa pari almeno al 74%,
  • licenziate o dipendenti da imprese per le quali è stato aperto un tavolo di crisi (per questa platea, il requisito anagrafico è sempre ridotto a 58 anni).

Molto in sintesi, l’Opzione Donna diventa una possibilità di uscita anticipata molto più difficile da agganciare rispetto a prima per via dei nuovi paletti. Per il resto, rimangono le altre regole fin qui seguite: ricalcolo contributivo della pensione, finestra mobile di 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per le autonome.

APE Sociale

Questa è l’unica, fra le forme di flessibilità in uscita attualmente previste, ad essere stata prorogata senza modifiche. Possono chiedere l’APE Sociale i lavoratori che maturano entro il 31 dicembre prossimo almeno 63 anni di età e 30 o 36 anni di contributi, a seconda della categoria di appartenenze. Sono ammessi i disoccupati che hanno terminato di utilizzare gli ammortizzatori sociali della disoccupazione, i caregiver, i lavoratori con disabilità pari almeno al 74%, e gli addetti a mansioni usuranti. Questi ultimi devono avere 36 anni di contributi, per gli altri aventi diritto il requisito contributivo è pari a 30 anni.

Stop scivolo pensione a 62 anni

Lo scivolo pensione a 62 anni per dipendenti di PMI in crisi era una forma di prepensionamento introdotta in via sperimentale dalla manovra dello scorso anno, ma che ora viene cancellata. Permetteva di uscire prima dal lavoro offrendo, per un massimo di tre anni, un trattamento pari al 90% della pensione.

Analisi delle misure

Bisogna attendere l’avvio dei lavori della Camera sulla manovra per conoscere il testo definitivo, ma tendenzialmente tutte le norme sopra riportate sono contenute nella ultime bozze, che dovrebbero corrispondere al testo bollinato.

Le misure contenute nel capitolo pensioni seguono fondamentalmente una direttrice precisa, che è quella di risparmiare il più possibile, pur mantenendo strumenti di flessibilità in uscita che evitino il cosiddetto scalone Fornero (in mancanza di queste proroghe, dal primo gennaio sarebbe stato possibile ritirarsi solo con pensione anticipata o di vecchiaia).

Il problema delle scarse risorse è determinato dal fatto che la Manovra 2023 si concentra prevalentemente sulle misure contro il caro energia (a cui sono destinati 21 dei 35 miliardi totali). Ma anche dalla maggior spesa pensionistica causata dall’adeguamento all’inflazione: non a caso, sono state riviste (per l’ennesima volta negli ultimi anni, si potrebbe aggiungere), le percentuali di perequazione.

Il fatto che solo l’APE Sociale sia stato prorogato senza modifiche salvaguarda le categorie considerate più deboli, alle quali va appunto incontro questo strumento di flessibilità in uscita.

I nuovi paletti sull’Opzione Donna e il passaggio da Quota 102 a Quota 103 (che richiede un requisito contributivo più alto e prevede la penalizzazione sull’assegno fino ai 67 anni per chi ha maturato trattamenti fino a cinque volte il minimo), invece,  sostanzialmente alzano l’asticella rispetto ai requisiti precedentemente previsti: quindi, da una parte si evita lo scalone, dall’altra ci si riavvicina progressivamente ai requisiti pieni della Riforma Fornero, in attesa della prossima riforma pensioni.