La pensione di reversibilità è un diritto per le parti di una unione civile ma non è possibile chiederla se non c’è stato l’atto formale che fa sorgere il diritto, ossia per le coppie di fatto. Né si può invocare una sorta di retroattività per i casi pre-Cirinnà. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 8241 del 14 marzo 2022.
Senza aver stipulato l’unione civile, dunque, non può essere riconosciuta la pensione di reversibilità al partner superstite, anche se il decesso è avvenuto prima del 2016, anno di entrata in vigore della Legge Cirinnà, che ha introdotto l’unione civile fra coppie dello stesso sesso con diritti analoghi a quelli del matrimonio, anche in materia previdenziale.
La Legge Cirinnà comporta infatti, l’estensione dei diritti ereditari e previdenziali (pensione indiretta, di reversibilità, indennità di morte) per tutte le coppie di fatto unite da vincolo civile. La Suprema Corte ripercorre un orientamento in realtà già espresso dalla Cassazione, con sentenza 24694/2021, in base al quale non si può applicare la Legge Cirinnà se il rapporto di convivenza è cessato in data anteriore all’entrata in vigore della legge 76/2016, in base al principio di irretroattività secondo cui la legge può disporre soltanto per il futuro.
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In altri termini, viene ribadito che se non c’è stata una formale unione civile non si può applicare il diritto alla pensione di reversibilità, che di conseguenza non può essere retroattivamente riconosciuto alle coppie di conviventi che non avevano la possibilità di usare questa formula perché non ancora in vigore. Pertanto, resta fermo l’orientamento secondo cui per la pensione di reversibilità è necessario formalizzare il legame con il matrimonio, l’unione civile o il patto di convivenza presso il Comune.