Il negoziato fra Governo e Sindacati sulla riforma pensioni si è temporaneamente arenato dopo un primo round di vertici che non ha portato ad alcuna sintesi concreta tra le diverse posizioni. Le nuove formule di pensione anticipata 2023 devono essere inserite nel DEF (Documento di Economia e Finanza) entro settembre ma al momento l’unica novità è una dichiarazione del ministero del Lavoro, Andrea Orlando rilasciata in occasione della festa della donna, che apre una breccia sull’ipotesi di rendere strutturale, o quanto meno di prorogare per diversi anni, l’Opzione Donna.
Il lavoro per la donna è sempre doppio e il riconoscimento dei percorsi che portano alla pensione dovranno includere questo dato. Una considerazione, quella del lavoro femminile, che abbiamo fatto già con la proroga di Opzione Donna, che credo dovremmo provare a rendere strutturale o almeno pluriennale, associandola anche ad altri strumenti che tengano conto delle condizioni in cui le persone lavorano e delle differenze indotte dai diversi lavori.
Come funziona oggi Opzione Donna
L’Opzione Donna offre la possibilità di andare in pensione anticipata a 58 anni se dipendenti o 59 anni se autonome, alle lavoratrici che abbiano maturato al 31 dicembre 2021 anche 35 anni di contributi. Si tratta di una misura annuale, prorogata di anno in anno e molto ambita, pur con le penalizzazioni che comporta sull’assegno (ricalcolo interamente contributivo della pensione). Si tratta, di fatto, dell’unica formula attualmente in vigore che sposa la linea di Governo sulla flessibilità in uscita: sì alla pensione anticipata rispetto ai requisiti Fornero ma soltanto nell’ambito del sistema contributivo.
La proposta di Opzione Donna strutturale
Nella pratica, rendere strutturale l’Opzione Donna significa ogni anno alzare il requisito di età e spostare avanti di un anno la data entro la quale maturare quello contributivo. Resterebbe quindi una forma di pensione anticipata, riservata alla lavoratrici, che consente di ritirarsi con 35 anni di contributi ma accettando un ricalcolo interamente contributivo anche degli anni eventualmente presenti, precedenti al 1996, che darebbero diritto alla valorizzazione retributiva.
Il negoziato di riforma pensioni
Bisogna capire se e come la proposta verrà eventualmente recepita nel tavolo negoziale. Che su alcuni punto nel corso del primo round ha trovato punti di contatto, per esempio sulle pensioni di garanzia per i giovani, mentre su altri continua a registrare divergenze, ad esempio sulla flessibilità in uscita: un nodo che si trascina da anni e che viene risolto periodicamente con misure a scadenza come la triennale Quota 100 e l’annuale Quota 102. Visto lo stallo, non si esclude che un ulteriore temporeggiamento possa portare a una proroga o alla messa a punto di meccanismi simili anche per i prossimi anni.
Punti critici nella trattativa
Su un accordo strutturale le parti sembrano dunque ancora lontane: il Governo rigido sul criterio del calcolo contributivo, i sindacati fermi nel fissare paletti di età o contribuzione per uscire dal mondo del lavoro. Tutte le ipotesi proposte sindacali non prevedono ricalcoli contributivi: pensione anticipata a 62-64 anni, oppure per tutti con 41 anni di contributi. Ora si fanno strada ipotesi di mediazione, che prevedono ad esempio la pensione anticipata intorno ai 64 anni ma con un taglio dell’assegno previdenziale che aumenta in modo proporzionale con gli anni di anticipo rispetto a quelli del requisito pieno.
=> Calcolo pensione con sistema retributivo, contributivo o misto
Sulla proposta della Quota 41 l’obiezione fondamentale è rappresentata dalla sostenibilità dei conti e dunque non sembra essere percorribile. Resta infine l’esigenza di riformare il meccanismo della pensione anticipata, che attualmente prevede 42 anni e dieci mesi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne.