Welfare aziendale, come renderlo a misura di PMI

di Barbara Weisz

Pubblicato 22 Febbraio 2022
Aggiornato 5 Dicembre 2022 15:40

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Welfare aziendale come previdenza privata: la contrattazione di secondo livello penalizza le PMI, anche un legame con il territorio farebbe da volano.

Una semplificazione normativa al  meccanismo che lega il welfare aziendale ai premi di produttività e lo sviluppo del welfare territoriale prendendo esempio da buone pratiche emerse nel corso della pandemia: sono due elementi che potrebbero rendere queste pratiche più a misura di PMI, in base ai dati contenuti nell’ultimo Bilancio del sistema previdenziale italiano, realizzato dal Cento Studi di Itinerari Previdenziali.

Il welfare aziendale in Italia

Il welfare aziendale, regolato principalmente da norme contenute nelle leggi di Bilancio 2016, 2017 e 2018, riguarda essenzialmente il mondo del lavoro dipendente. Non è una vera e propria forma di previdenza ma spesso fra i benefit previsti ci sono forme di assicurazione o di previdenza complementare privata. Dunque, è una forma di welfare privato che consente di trasformare parte dello stipendio in beni e servizi fiscalmente agevolati (sono esentasse e non si pagano contributi).

Premi, benefit e servizi

Poggia in buona parte (ma non solo) sull’utilizzo dei premi di produttività. Nella pratica, si prevede la convertibilità di una parte del premio in beni e servizi di welfare aziendale. Gli strumenti più diffusi:

  • contributi a forme di assistenza sanitaria integrativa;
  • buoni pasto;
  • finanziamento dei costi individuali per trasporto collettivo e trasposto pubblico locale;
  • accesso a beni e servizi con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale, assistenza sanitaria e culto;
  • servizi di istruzione e educazione;
  • compartecipazione ai costi per l’assistenza a familiari anziani e/o non autosufficienti;
  • contribuzione del datore a forme di assistenza o assicurazioni LTC o per gravi patologie;
  • contributi a previdenza complementare;
  • flexible e fringe benefit (tra cui carte carburante o auto aziendali, non necessariamente ricompresi nella definizione di welfare).

Secondo un’indagine AIWA (Associazione Italiana Welfare Aziendale), i benefit più apprezzati sono, nell’ordine: servizi per l’infanzia e l’educazione; flexible benefit e soluzioni per il tempo libero; sanità integrativa; trasporto pubblico; assistenza per familiari anziani o non autosufficienti; previdenza complementare; contributi e premi per LTC e patologie gravi.

Welfare e produttività: PMI penalizzate

Il legame con i premi di produttività è uno degli elementi che possono rappresentare un ostacolo alla diffusione nelle PMI. I premi di produttività sono infatti legati a contratti collettivi aziendali o territoriali, che vanno controfirmati da rappresentanze datoriali e sindacati, spesso non presenti nelle aziende piccole o medio piccole, che pure costituiscono la gran parte delle realtà produttive italiane. Risultato: si tratta di un elemento che, come si spiega nel report, «riduce enormemente la diffusione dello strumento rispetto alle sue effettive potenzialità soprattutto in tema di riduzione del cuneo fiscale». Quindi, la normativa meriterebbe «una semplificazione per venire incontro ai datori di lavoro e, conseguentemente, ai tanti lavoratori interessati».

I numeri del welfare aziendale in Italia

La scarsa diffusione è dimostrata dai dati del Ministero del Lavoro, in base ai quali al momento sono circa 9mila i contratti collettivi che si propongono di raggiungere obiettivi di produttività e 5mila quelli che prevedono forme di partecipazione del datore di lavoro a misure di welfare aziendale. I settori maggiormente coinvolti sono l’industria al 47% e i servizi al 27%, mentre questi contratti sono poco presenti negli studi professionali (2%) e nell’agricoltura (1%).

L’impatto Covid

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Altri dati, contenuti nel consueto report Welfare Index PMI, dimostrano come le piccole e medie imprese durante la pandemia Covid si siano attivate sul fronte del welfare aziendale, concentrandosi sui seguenti servizi: tamponi e test sierologici (43,8%); formazione e webinar (39%); aumenti temporanei della retribuzione e copertura cassa integrazione (38,2%); potenziamento della flessibilità e permessi (35,8%); polizze sanitarie (25,7%); Assistenza psicologica o sanitaria a distanza (21,3%).

Il welfare territoriale e le PMI

«Uno sviluppo strutturale del welfare aziendale in una nazione come l’Italia, caratterizzata da un tessuto produttivo e di servizio di piccole e piccolissime imprese – sottolinea Itinerari Previdenziali -, richiede la creazione di contesti territoriali aggregativi idonei a fungere da hub per la messa in comune delle forze e l’erogazione dei servizi».

In pratica, lo sviluppo del welfare territoriale (per cui si registrano già interessanti esperienze) farebbe da volano per la crescita del welfare aziendale, e viceversa. «Una buona cultura del welfare nei luoghi di lavoro e una richiesta sempre maggiore in tal senso funge infatti da stimolo per le singole imprese per consentire a tutto il tessuto produttivo di accedere a questo welfare di prossimità, con effetti maggiormente ritagliati sull’esigenza specifica e incisivi per il territorio di riferimento».

Anche in vista dell’utilizzo dei fondi del PNRR, si possono pensare strategie che coinvolgano, insieme alle aziende, altri attori del welfare come le fondazioni bancarie o le casse di previdenza dei professionisti.