Il negoziato fra Governo e sindacati sulla riforma pensioni tocca il nodo fondamentale della flessibilità in uscita, su cui si cerca un punto di mediazione che riesca a coniugare i due fattori fondamentali: dare ai lavoratori la possibilità di uscire dal mondo del lavoro in anticipo, mantenendo la proporzione fra contributi versati e assegno previdenziale, senza eccessive penalizzazioni sull’importo della pensione.
Vertice sulla flessibilità in uscita
Nel vertice tecnico del 15 febbraio, le parti si sono confrontate su questo specifico punto e, in base alle dichiarazioni rilasciate al termine della riunione, è risultato esserci l’accordo fra le parti per l’introduzione di nuovi strumenti di flessibilità in uscita, sebbene la strada da percorrere appaia ancora da tracciare.
È stata condivisa la necessità di un superamento delle rigidità attuali presenti nel sistema, in particolare quella legata ai 67 anni.
La sintesi è di Roberto Ghiselli, segretario confederale Cgil, secondo cui per il Governo l’unica strada individuata resta quella delineata dal sistema contributivo, rispetto alla quale, però, rimane ferma la contrarietà del sindacato.
Pensione anticipata con ricalcolo contributivo
Le proposte dei sindacati (uscita a 62 anni di età oppure con 41 anni di contributi) non sembrano dunque praticabili: il Governo continua a insistere sulla necessità di restare nel perimetro del sistema contributivo. Tra questi due estremi si cerca la linea di mediazione nonostante il deciso no al ricalcolo contributivo anche da parte di Cisl e Uil. Il punto centrale, sottolinea Ignazio Ganga (Cisl) è «il tema delle eventuali penalizzazioni» per consentire la flessibilità in uscita prima dei 67 anni.
Proposte percorribili
In base a queste dichiarazioni, si fanno diverse ipotesi sulle soluzioni praticabili a partire da quella che prevede l’uscita anticipata a 64 anni ma con un ricalcolo dell’assegno oppure (per evitare l’eccessiva penalizzazione del ricalcolo contributivo) una decurtazione per ogni anno di anticipo rispetto all’età per la pensione di vecchiaia.
Sistema delle quote a un bivio
Per il momento si tratta solo di ipotesi, né ci sono anticipazioni sull’eventualità di mantenere il meccanismo delle quote (dopo Quota 100 e Quota 102) per andare in pensione con un’età minima (62-64 anni). C’è invece un secco no del Governo alla pensione anticipata con 41 anni di contributi. Attualmente, per la pensione anticipata, la soglia minima è pari a 42 anni e dieci mesi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne).
Importo minimo dell’assegno
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C’è un altro elemento su cui si concentra il negoziato: l’importo minimo della pensione maturata con queste le formule agevolate deve essere pari almeno a 2,8 e 1,5 volte l’assegno sociale. I sindacati chiedono l’eliminazione di questo paletto, che penalizza lavoratori con carriere discontinue e stipendi bassi. Ghiselli spiega che su questo punto, come sul tema dei coefficienti di trasformazione, «l’Esecutivo ha fornito una generica disponibilità». Qui, il tema si incrocia con quello delle pensioni dei giovani, già affrontato nei tavoli tecnici dedicati, per i quali la soluzione potrebbe essere quella di una pensione di garanzia, che impedisca quindi agli assegni di scendere sotto una determinata soglia.
APE Sociale e Opzione Donna
Infine, è stato affrontato il tema della flessibilità in uscita per particolari categorie di lavoratori (addetti a mansioni gravose, disoccupati, invalidi, caregiver), per i quali nel 2022 è stato prorogato l’APE Social. Altre richieste dei sindacati: proroga Opzione Donna, anticipo di 12 mesi per ogni figlio per le donne, sostegno allo sviluppo della previdenza complementare, incremento della 14esima per i pensionati.
I prossimi passi verso la riforma pensioni
Dopo il tavolo tecnico sulla flessibilità in uscita del 15 febbraio, si attende la convocazione di un vertice politico, momento di confronto per tirare le somme sulle diverse opzioni emerse nei tavoli tecnici, iniziando a impostare la riforma vera e propria. Al vertice politico parteciperanno i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e PierPaolo Bombardieri, e il ministro del Lavoro, Andrea Orlando. L’obiettivo, lo ricordiamo, è arrivare a un riforma pensionistica che sia operativa a partire dal 2023 quando, scadendo le varie proroghe e gli strumenti di flessibilità in uscita inseriti nella Manovra 2022 (Opzione Donna, APE Social, Quota 102), si tornerebbe ad andare in pensione solo maturando i requisiti pieni per la pensione anticipata e quella di vecchiaia.