Operare all’interno di una filiera rappresenta una risorsa per la ripresa economica delle imprese, che mostrano maggiore potenziale innovativo, sono più aperte verso i mercati esteri e in grado di affrontare meglio la crisi legata alla pandemia da Covid-19. Secondo quanto emerge da un’analisi realizzata dal Centro Studi Tagliacarne su dati Unioncamere/InfoCamere, relativi alle 17 filiere individuate dal Ministero dello Sviluppo Economico, il 41% delle loro imprese prevede di recuperare i livelli produttivi pre-Covid già entro l’anno in corso, una percentuale che supera il 36% rappresentato dalle altre aziende.
Ammonta al 45% la quota di aziende di filiera che ha investito nelle tecnologie 4.0 contro il 35% delle altre digitalizzate. Il 62% delle imprese che lavorano insieme, inoltre, ha promosso investimenti per innovare (contro il 38% delle altre).
Più di 3 imprese su 4 del nostro Paese operano all’interno di filiere, alcune più corte, di territorio, altre più internazionali; tante si sono modificate per gli effetti della crisi pandemica – commenta il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli.
In molte il rapporto tra le imprese non si esaurisce nel contratto di fornitura ma, come mostrano diverse analisi di Unioncamere, si arricchisce con fattori qualitativi, servizi, supporti finanziari, percorsi di certificazione, spesso indotti dalle aziende capo-filiere, normalmente medie o grandi.
Per quanto riguarda i settori, costruzioni e agrobusiness rappresentano quasi il 60% delle imprese attive che sono coinvolte nel sistema delle filiere, seguiti da sanità, turismo-beni culturali e sistema moda. A livello regionale, in cima alla graduatoria delle regioni con il maggior numero di imprese di filiera attive compare la Lombardia, seguita da Campania e Lazio. Osservando l’incidenza delle filiere sul tessuto produttivo di ciascuna regione, invece, le prime posizioni sono occupate da Bolzano (con l’83,8% delle imprese in filiera sul totale), Basilicata (81,1%) e Molise (80,8%).