Sulla Riforma delle Pensioni allo studio del Governo, dall’OCSE sono arrivate valutazioni poco rassicuranti, che bocciano le più recenti formule di pensione anticipata per categorie svantaggiate di lavoratori come Opzione Donna e Quota 100. Mentre sulla prima sono riposte le speranze di molte lavoratrici prossime al raggiungimento dei requisiti per la pensione agevolata (pur con penalizzazioni economiche), sulla seconda formula è comunque certo che si è arrivati al campolinea. Quota 100 nel 2022 non ci sarà più di sicuro (confermato a più riprese dall’Esecutivo Draghi) e dunque per l’accesso alla pensione anticipata con 38 anni di contributi e 62 di età non c’è posto nella prossima riforma delle pensioni: questa è una delle poche certezze sull’argomento, per il resto nulla di certo, ma avvicinandosi la scadenza del 31 dicembre quando si tornerà ai requisiti Fornero, si avvicendano le proposte politiche, tecnichee sindacali. Fra tutte, più o meno costose, la soluzione di compromesso verso cui sembra orientarsi il Governo è la riproposizione in chiave post-Covid dell’APE Sociale, con una definizione mirata delle categorie di beneficiari volte al sostegno delle fasce più deboli della forza lavoro.
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Proposte di Riforma Pensioni
Dalla Corte dei Conti, che ha giudicato Quota 100 il provvedimento più costoso per le casse dell’INPS e ha sottolineato l’impossibilità di continuare a sostenere gli attuali numeri della previdenza italiana, è arrivata la proposta di “costruire, eventualmente con gradualità ma in un’ottica strutturale, un sistema di uscita anticipata che converga su una età uniforme per lavoratori in regime retributivo e lavoratori in regime contributivo puro”. In pratica l’idea sarebbe quella di consentire l’accesso alla pensione in anticipo a 64 anni di età e 20 anni di contributi, a patto di aver maturato un trattamento dall’importo pari a 2,8 volte l’assegno sociale. Una opzione di pensionamento anticipato che risulterebbe basata sul calcolo di tipo contributivo, quindi vantaggiosa per le casse pubbliche dello Stato (meno per il lavoratore) e che trova il favore dell’ex ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, che si è fatta portavoce anche della propensione positiva da parte del partito del Movimento 5 stelle.
In precedenza, da più parti si era teorizzata una sorta di Quota 102 (uscita dal lavoro a 63 anni di età e 39 di contributi oppure a 64 di età e 38 di contributi) affiancata da una Quota 41 per tutti, che prevede il pensionamento anticipato con il solo requisito legato all’età contributiva, come oggi avviene per determinate categorie di lavoratori tutelate, abbassando l’attuale soglia della pensione anticipata, fissata a 42 anni e 10 mesi per gli uomini ed a 41 anni e 10 mesi di età per le donne. Il tutto senza penalizzazioni sull’assegno previdenziale. Questa misura trova consensi non soltanto da parte dei principali esponenti dei sindacati ma anche dal Sottosegretario all’Economia, Claudio Durigon. Lo scoglio resta legato al costo di questa misura, giudicata dalla Corte dei Conti troppo onerosa.
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Le misure sulle quali il Governo sembra puntare maggiormente sono l’APe Sociale e Opzione Donna (monito OCSE a parte), che con la Riforma pensioni potrebbero diventare strutturali dando rispettivamente la possibilità stabile:
- alle categorie di lavoratori impegnati in attività usuranti, disoccupati di lungo periodo, disabili e caregiver, di accedere alla un pensione anticipata raggiunti i 63 anni di età con un assegno finanziato dallo Stato che può raggiungere come massimo importo 1.500 euro per 12 mensilità;
- alle donne di richiedere la pensione anticipata raggiunti i 58 anni di età le dipendenti e i 59 anni di età le autonome, con 35 anni di contributi, accettando un assegno calcolato con il solo metodo contributivo.
Altra proposta avanzata dal Governo è quella di rafforzare i contratti di espansione per favorire un ricambio generazionale, sostenibile all’interno del mondo del lavoro, facendo seguire nuove assunzioni ai pensionamenti anticipati. Con i contratto di espansione, lo ricordiamo, l’azienda che stringe un accordo bilaterale con le parti sociali può agevolare l’uscita dei lavoratori più vicini alla pensione, ai quali manchino meno di 60 mesi al raggiungimento della pensione di vecchiaia, programmando nuove assunzioni e prendendosi alcuni impegni in termini di formazione Il lavoratore deve essere però d’accordo e accettare una assegno pensionistico inferiore, lavorando meno anni.
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I tecnici del Ministero dell’Economia starebbero pensando anche ad una corsia preferenziale per i lavoratori impiegati in mansioni gravose che potrebbero andare in pensione a 61 anni e 7 mesi, con almeno 35 di contributi se dipendenti. Agli autonomi verrebbe richiesto un anno in più. Per i lavoratori impiegati in mansioni usuranti c’è una proposta anche del Pd: una Quota 92 accessibile con 62 anni di età più 30 di contributi. Fumata nera, invece, per lo scivolo Brunetta, proposto dal Ministro per la Pubblica Amministrazione, che prevedeva per i dipendenti pubblici la possibilità di andare in pensione a 62 anni.
Al neto dei costi, tutto restaa più tepria che pratica. Resta forse solo l’APE Sociale, che ad oggi richiede 63 anni di età e 30 anni di contributi (36 anni per gli addetti a mansioni gravose) con uno sconto sull’anzianità contributiva pari ad un anno per ogni figlio (massimo due anni). Ma c’è un ma: per rientrare in una delle categorie previste dal comma 179 della legge 232/2016: disoccupati involontari senza sussidio (NASpI) da almeno tre mesi; caregiver per assistenza da almeno sei mesi del coniuge o partner in unione civile, oppure di un parente di primo grado convivente; disabili pari almeno al 74%; addetti a lavori gravosi da almeno sei anni nell’arco degli ultimi sette anni. La misura scadrà a fine 2021 se non sarà rinnovata.
Si potrebbe prorogarla ed estenderne l’accesso ai soggetti fragili rispetto al rischio Covid, agli esuberi a fronte di crisi aziendali. Sono però valutazioni che saranno affrontate man mano che prenderà forma la bozza della Legge di Bilancio 2022, nella quale troverà posto la Riforma delle pensioni. Cosniderate le esigue risorse, più che una riforma si tratterà di una soluzione ponte rispetto allo scalone anagrafico dell’età pensionabile lasciato in eredità dalla uscente Quota 100.