Tratto dallo speciale:

Pensioni: anticipo RITA fino a dieci anni prima

di Noemi Ricci

2 Giugno 2021 10:00

La RITA consente, a chi è iscritto alla previdenza integrativa, una sorte di pensione anticipata fino a dieci anni prima: requisiti, pro e contro.

Tra le opzioni per accedere alla pensione anticipata è ancora in vigore la cosiddetta RITA, acronimo di Rendita Integrativa Temporanea Anticipata. Si tratta dell’anticipo di una rendita sulla futura pensione integrativa introdotto dalla legge Bilancio 2017 in via sperimentale e poi resa strutturale dalla Legge di Bilancio 2018. La RITA è dunque una rendita integrativa alla futura pensione, temporanea e anticipata, che consente di ricevere un trattamento nel caso in cui l’aderente sia inoccupato e manchino cinque anni dai requisiti per la pensione obbligatoria, INPS o di altro Ente di previdenza. Per ottenerla bisogna essere iscritti ad un fondo di previdenza integrativa (al quale andrà richiesta la RITA) e possedere i seguenti requisiti:

  • cessazione dell’attività lavorativa;
  • raggiungimento dell’età anagrafica per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza entro i cinque anni successivi alla richiesta;
  • maturazione requisito contributivo complessivo nei regimi obbligatori di appartenenza di almeno 20 anni;
  • maturazione di cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari.

Il fondo pensione erogherà la RITA per un periodo massimo di cinque anni, accompagnando l’aderente dalla richiesta fino al pensionamento. Non è possibile richiedere l’erogazione della RITA in un’unica soluzione. In caso di bisogno, la RITA consente di anticipare la pensione di dieci anni. Come requisito viene chiesto all’aderente di:

  • essere disoccupato o inoccupato da almeno 24 mesi;
  • raggiungere l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza entro i dieci anni successivi;
  • aver maturato cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari.

In tale ipotesi non è neanche richiesto il possesso di 20 anni di contributi versati nella previdenza pubblica. In teoria, quindi, con la RITA i lavoratori che hanno perso il lavoro o sono inoccupati e sono iscritti a una delle forme pensionistiche complementari in regime di contribuzione definita – regime che prevede una contribuzione fissa – possono ritirarsi già a 57 anni, se si trovano a dieci anni dal pensionamento, o a 62 anni, se a cinque anni dalla pensione, percependo non una indennità di prepensionamento in senso stretto, poiché non è previsto alcuno sconto sull’età pensionabile né sugli anni di contributi necessari a ritirarsi dal lavoro, ma l’erogazione anticipata di quanto accumulato presso il fondo pensione.

La rendita erogata viene ricavata dal capitale accumulato nel fondo pensione e l’aderente può decidere se convertire in RITA solo una parte del capitale accumulato, lasciando così la rimanente parte residua per l’erogazione della pensione integrativa vera e propria. Per attestare il requisito di “non-lavoro” al momento di richiesta di RITA, la COVIP (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione) prevede due modalità:

  • per lo stato di disoccupazione occorre dimostrare di aver presentato la DID (Dichiarazione di immediata disponibilità). In alternativa, se il fondo pensione acconsente, può essere presentata una dichiarazione sostituiva di certificazione, essendo lo stato di disoccupazione menzionato tra gli stati autocertificabili (ex art. 46 del dpr n. 445/2000);
  • la condizione di non occupazione pe chi non è registrato come disoccupato può essere certificata mediante dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

Successivamente alla richiesta di RITA, nel corso dell’erogazione della stessa, è possibile intraprendere un’attività lavorativa in qualsiasi forma (COVIP, nota n. 4209/2020). Non possono richiedere la RITA i lavoratori iscritti a fondi pensione in regime di prestazione definitiva che consente di definire la data per la prestazione, con contribuzione che varia nel tempo. Si può invece percepire la RITA anche se si è in pensione anticipata.

RITA: pro e contro

Il regime fiscale della RITA è agevolato: si applica una ritenuta del 15% che scende dello 0,30% per ogni anno di partecipazione al fondo oltre il 15esimo, fino a un minimo del 9%. Il vantaggio della RITA è sicuramente quello di consentire al beneficiario di lasciare il lavoro rispetto ai requisiti attualmente richiesti dal sistema previdenziale obbligatorio, ottenendo una sorta di reddito-ponte fino alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia.

Un aspetto da considerare è però l’ammontare dei contributi versati: bisogna essere sicuri che questi garantiscano una rendita che permetta di vivere dignitosamente. Chi ha versato contributi nel fondo per molti anni avrà probabilmente un tesoretto da parte che gli consenta di ottenere un assegno mensile di buon importo. Al contrario chi ha versato pochi anni di contributi, a meno che non abbia fatto versamenti consistenti, riceverà ben poco. Facciamo qualche esempio:

  • ipotizziamo di versare nel fondo 300 euro al mese per 5 anni avrà accantonato 18mila euro. Richiedendo la RITA a 62 anni, con 5 anni di anticipo sulla pensione di vecchiaia, verranno erogati soli 300 euro al mese, al netto di eventuali rivalutazioni dei contributi versati che variano in base al fondo al quale si è aderito;
  • versando per 5 anni 1.000 euro al mese si potrebbe invece contare su un assegno dello stesso importo, sempre al nett delle rivalutazioni;
  • versando per 30 anni 300 euro al mese, accantonando 108mila euro, a 62 anni si potrebbe contare su una RITA di 1.800 euro.

Queste considerazioni portano ad un altro contro della RITA: secondo alcune stime, in media, servono 8 anni di versamenti al fondo previdenziale per pagare ogni anno di RITA. Questo significa che passati 5/10 anni, al momento in cui si raggiungerà la pensione di vecchiaia, non si avrà più a disposizione, o comunque sarà ridotta significativamente, quella pensione di scorta che rappresenta una delle finalità della previdenza integrativa, ovvero quella di integrare la pensione pubblica spesso insufficiente a garantire una qualità di vita dignitosa.