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Rimborsi spese in smart working: il forfait è tassabile

di Anna Fabi

13 Maggio 2021 15:52

Il rimborso a forfait al dipendente in smart working per le è reddito da lavoro dipendente, non tassabile solo con la ripartizione documentata dei costi.

I rimborsi forfettari che il datore di lavoro paga al dipendente in smart working, ad esempio sulle bollette, fanno parte del reddito da lavoro dipendente e come tale vanno tassate. In altri termini, queste somme non possono essere considerate di natura risarcitoria e quindi non tassate come redditi da lavoro, a meno che non siano calcolate in base a precisi criteri di ripartizione oggettiva (per cui figurino come consumi nell’interesse esclusivo del datore di lavoro).  Lo precisa l’Agenzia delle Entrate, con specifico interpello, rispondendo a un’azienda che riconosce ai propri dipendenti in smart working una somma pari al 30% dei consumi relativi a connessione internet, elettricità, riscaldamento, aria condizionata. Il riferimento è l’interpello 328/2021.

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L’azienda ha chiesto al Fisco di poter considerare queste somme di natura risarcitoria e, quindi, non tassabili come redditi da lavoro dipendente. L’Agenzia risponde negativamente. Innanzitutto, ricorda che in base all‘articolo 51, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi (Dpr 917/1986), costituiscono reddito di lavoro dipendente:

tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono.

E’ il cosiddetto principio di onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente fiscalmente rilevante, in base al quale sia gli emolumenti in denaro sia i valori corrispondenti ai beni, ai servizi ed alle opere offerti dal datore di lavoro ai propri dipendenti costituiscono redditi imponibili.

Ci sono effettivamente casi in cui i rimborsi non costituiscono reddito da lavoro dipendente. Ad esempio, come previsto dalla circolare 326/1997, rimborsi che riguardano spese di competenza del datore di lavoro, anticipate dal dipendente (come la carta della fotocopia o della stampante, le pile della calcolatrice, e via dicendo). In realtà, esistono anche precedenti documenti di prassi che includono fra i rimborsi anche determinate spese telefoniche.

Nel caso specifico si tratta di una somma forfettaria riconosciuta al dipendente in smart working. In generale, l’Agenzia delle Entrate sottolinea che:

le spese sostenute dal lavoratore e rimborsate in modo forfetario sono escluse dalla base imponibile solo nell’ipotesi in cui il legislatore abbia previsto un criterio volto a determinarne la quota che, dovendosi ritenere riferibile all’uso nell’interesse del datore di lavoro, può essere esclusa dall’imposizione.

In mancanza di un preciso criterio, stabilito da legislatore, per la quota esclusa da imposizione, i costi sostenuti dal dipendente devono essere individuati sulla base di elementi oggettivi, documentalmente accertabili, al fine di evitare che il relativo rimborso concorra alla determinazione del reddito di lavoro dipendente. Nel caso specifico, invece, c’è un forfait, non supportato da elementi e parametri oggettivi. Per cui, in mancanza di una specifica legge, non può essere applicata l’esclusione dai redditi di lavoro dipendente.

Per applicare l’esclusione, bisognerebbe «adottare un criterio analitico che permetta di determinare per ciascuna tipologia di spesa (quali ad esempio l’energia elettrica, la connessione internet, etc.), la quota di costi risparmiati dalla Società che, invece, sono stati sostenuti dal dipendente, in maniera tale da poter considerare la stessa quota (in valore assoluto) di costi rimborsati a tutti i dipendenti riferibile a consumi sostenuti nell’interesse esclusivo del datore di lavoro».