Le diverse misure di decontribuzione previste negli ultimi anni per stimolare l’occupazione contraddicono la necessità di riformare il sistema pensionistico, «perché le entrate non sono in equilibrio con le uscite per prestazioni». Lo rileva l’ottavo rapporto sul sistema previdenziale italiano di Itinerari previdenziali, proponendo, come alternativa, il credito d’imposta, e analizzandone l’impatto.
Partiamo dalla decontribuzione per le imprese del Sud introdotta dal Decreto Agosto, che prevede uno sconto del 30% sui contributi previdenziali dovuti da lavoratori e aziende, con esclusione dei premi INAIIL, in Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna. Inizialmente previsto solo per l’ultimo trimestre 2020, è stato poi prorogato al 30% fino 2025, al 20% per il biennio 2026-2027, e al 10% per quello successivo, quindi fino al 2029. Il costo previsto è di 1 miliardo per il corrente anno e 4 miliardi per gli anni successivi che dovrebbero essere finanziati anche con il Recovery Plan. Non è la prima misura di questo tipo che il Legislatore ha introdotto per compensare l’insufficiente livello di sviluppo di alcune aree del Paese.
Nelle Regioni del Sud, «per quasi 25 anni sono stati in vigore gli sgravi contributivi totali», che però, sulla base delle statistiche occupazionali, non hanno prodotto nuova occupazione o sviluppo. Anche a causa dell’intervento europeo, che li considerava aiuti di stato, questi sgravi sono stati progressivamente eliminati fra il 1995 e il 2002. L’analisi di Itinerari Previdenziale è la seguente: si tratta di agevolazioni che «non solo non hanno prodotto vantaggi competitivi, ma hanno ritardato lo sviluppo delle regioni del Sud esattamente come l’erogazione di prestazioni di invalidità (concessa in alcune aree del Paese solo per motivi economici) e altri sussidi specie in agricoltura». Ancora: «hanno solo drogato l’economia delle otto regioni meridionali, creando poca occupazione di sussistenza che si è dissolta quando gli sgravi sono stati vietati e recuperata, in parte, solo per motivi puramente fisiologici (occupazione indispensabile prevalentemente pubblica) nei successivi cinque anni, ma permane un tasso di occupazione totale e soprattutto giovanile e femminile ancora insufficiente e con ampie fasce di lavoro sommerso».
L’attuale bilancio contributivo è la seguente: entrate 2019 pari a 209,1 miliardi, di cui il 64% (134 miliardi circa) proviene dalle otto regioni del Nord, il 20% dalle quattro regioni del Centro (41,8 miliardi) e il 16% (33,35 miliardi) dal Sud. Le uscite per prestazioni sono invece pari a 230,5 miliardi, con il Nord che assorbe il 55% del totale (126,8 miliardi) contro il 19% del Centro (43,8 miliardi) e il 26% del Sud che con 60 miliardi presenta uscite quasi doppie rispetto alle entrate. Il saldo tra entrate e uscite per il 2019 presenta un disavanzo complessivo INPS pari a 37,8 miliardi. Il Sud ne produce circa il 50%, contro il 19% del Centro e il 31% del Nord.
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A questi numeri bisogna applicare quella che viene considerata «un’esigenza imprescindibile per il nostro Paese, e cioè quella del necessario sviluppo del Sud in assenza del quale l’intero Paese è destinato a rimanere marginale e agli ultimi posti delle classifiche per sviluppo e occupazione». In che modo raggiungere l’obiettivo? La ricetta proposta: infrastrutture materiali, autostrade, ferrovie, alta velocità, acquedotti, internet a banda larga, poli industriali e sblocco degli investimenti infrastrutturali previsti nei Patti per il Sud e dalle ZES, Zone economiche speciali, sicurezza.
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Il vantaggio del credito d’imposta è che lo sconto del 30% verrebbe dimezzato per i lavoratori e le imprese dinamiche che crescono, in quanto la parte di contributi risparmiata verrebbe ridotta dal carico fiscale, mentre premierebbe le attività di mera sussistenza assistite. In qualche modo agisce anche come forma di redistribuzione del carico fiscale, oggi prevalentemente sulle spalle del lavoro dipendente, e consente di ridurre evasione fiscale e contributiva.
Infine, una considerazione: se in tutto il Paese i contributi fossero pari ad almeno il 75% delle prestazioni in pagamento, il sistema pensionistico sarebbe in totale equilibrio e la spesa assistenziale si ridurrebbe; se anche con il fisco fosse così, il bilancio italiano sarebbe in pareggio.