La pensione Quota 100 ha funzionato meglio di altre soluzioni di flessibilità in uscita sperimentate negli ultimi anni, nel senso che ha raccolto più adesioni: si registra (in base a dati ancora grezzi) un incremento nel 2020, che prevedibilmente proseguirà nel 2021, come conseguenza del Covid. Però il punto fondamentale è che non si tratta di un provvedimento definitivo, ma di una delle tante “toppe” che sono state messe nell’ultimo decennio alla Riforma Fornero di fine 2011.
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E’ l’analisi contenuta nell’ottavo report sul sistema pensionistico italiano di Itinerari Previdenziali, che fornisce una serie di dati sull’impatto che ha avuto ed è destinata ad avere la Quota 100 sul sistema previdenziale, utili in vista delle future ipotesi di riforma. La Quota 100, lo ricordiamo, consente di andare in pensione con 62 anni di età anagrafica e 38 di contribuzione. Nel 2019, le diverse opzioni di flessibilità in uscita praticabili (oltre alla Quota 100: Opzione Donna, APE sociale e Pensione Precoci), hanno prodotto 264mila 765 nuove pensioni con requisiti più favorevoli rispetto a quelli ordinari di pensione di vecchiaia o anticipata.
Negli anni precedenti, dal 2012 al 2018, gli “scampati” alla legge Fornero, ovvero coloro che hanno scelte forme di uscita alternative (APE, Pensione Gravosi, Pensione Precoci, Opzione Donna), sono stati in tutto 340mila. Il 2019 ha quindi visto in boom, che è in buona parte attribuibile alla quota 100.
Il problema, sottolinea il report, è che la Quota 100 resta una sperimentazione, non una soluzione di riforma pensioni. I punti critici sottolineati: è un provvedimento a debito, a spese delle giovani generazioni e con molte pecche, perché non cancella la riforma Fornero, non risolve la flessibilità in uscita, non prevede agevolazioni specifiche per lavoratori con problemi di salute, familiari a carico da curare, lavori pesanti, in mobilità o disoccupazione e neppure l’utilizzo dei “fondi di solidarietà” per l’industria, il commercio, l’artigianato e l’agricoltura (sul modello di quelli operativi oggi per le banche e le assicurazioni che hanno permesso di prepensionare, a totale carico del fondo senza alcun costo per lo Stato, con un anticipo di cinque anni, con 62 anni di età e 35 di contributi, oltre 80mila lavoratori). In più, si riferisce a una platea di persone che ancora potrebbero tranquillamente lavorare, e reintroduce il divieto di cumulo tra reddito da pensione e da lavoro mettendo così “in panchina”, quando va bene, o a “nero” molti neo pensionati. Infine, non è servita neppure come staffetta generazionale.
In realtà, è stata utilizzata da coloro che probabilmente aspettavano una finestra per ritirarsi senza eccessive penalizzazioni sull’assegno, ma non ha un successo strutturale. Dopo un inizio sostenuto con oltre 3mila richieste al giorno, le domande di Quota 100 si sono progressivamente ridotte: le prime 100mila sono state presentate nelle prime nove settimane, mentre per le successive 100mila ne sono passate 32.
In tutto, nel 2019 sono state 150mila 77 le pensioni con Quota 100, con un importo medio mensile di 1.983 euro e un anticipo medio di 24 mesi. Seguono APE Sociale con 54,77mila domande ma con un anticipo di 3 anni e i precoci (41,28mila) con un anticipo medio di 19 mesi.
Il lato positivo è sul fronte della spesa, nel senso che il costo totale di tutte le anticipazioni pensionistiche 2019 si attesta intorno ai 5 miliardi rispetto ai 3,968 miliardi previsti nel decreto che ha istituito la Quota 100.
E veniamo all’impatto del Covid, sul quale vengono fornite le prime stime. In base a proiezioni basate sui dati INPS, il numero totale dei pensionati 2020 passerebbe a 16 milioni 135mila, dai 16mila 035.165 di fine 2019. Quindi, un incremento di 100mile pensioni. Oltre il triplo rispetto alla differenza fra 2018 e 2019 (+30mila pensionati). «Considerando poi che i primi 4 mesi del 2021 non saranno certamente facili – si legge nel report -, è più che probabile un accesso importante ai provvedimenti di Quota 100 con un ulteriore aumento dei pensionati a circa 16 milioni 209mila, un valore che ci riporta al 2015».
La pandemia, secondo l’analisi, aumenterà la propensione al pensionamento sia dei lavoratori dipendenti a causa della chiusura di molte attività, sia dei titolari di partite IVA, di autonomi e liberi professionisti rimasti senza lavoro. Coloro che raggiungono i requisiti di Quota 100 «si troveranno a scegliere se restare disoccupati e senza reddito una volta finita la cassa integrazione o i sussidi di disoccupazione, o utilizzare come “ammortizzatore sociale” proprio Quota 100. E tra zero reddito e prendere una pensione ridotta del 10% sicuramente sceglieranno quest’ultima».
Infine una previsione: considerando che nel 2021 scade Quota 100, e che in vista c’è una riforma pensioni, il numero dei pensionati negli anni successivi è destinato a ridursi per arrivare nel 2026 ai livelli di poco superiori a quelli del 2019, in quanto dal normale flusso si sconteranno i soggetti che hanno anticipato l’andata in pensione con i provvedimenti citati.