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Pensioni, punti deboli del sistema italiano e prospettive post Covid

di Barbara Weisz

Pubblicato 16 Febbraio 2021
Aggiornato 18 Aprile 2021 07:00

Impatto Covid sul sistema previdenziale italiano, interventi sul mercato del lavoro e prospettive di riforma nel Rapporto di Itinerari Previdenziali.

E’ un punto su cui gli esperti di Itinerari Previdenziali hanno sempre insistito, e che viene sottolineato dall’ottavo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano: in Italia serve un’adeguata separazione tra previdenza e assistenza. La spesa per le pensioni nel paese si conferma sotto controllo, pur a fronte di una crescita del numero dei pensionati, mentre la spesa assistenziale cresce a ritmi difficilmente sostenibili in futuro. Vediamo con precisione i numeri.

Nel 2019, la spesa previdenziale ha raggiunto i 230,3 miliardi di euro, il 12,88% del PIL, un dato in linea con la media Eurostat. Rispetto all’anno precedente (quando si era attestata a 225,59 miliardi), c’è stato un aumento di 4,6 miliardi. Le entrate contributive 2019 sono state pari a 209,4 miliardi, +2,29% sul 2018, portando il saldo negativo tra entrate e uscite a 20,86 miliardi, riportandosi sui livelli del 2012. Pesa sul disavanzo soprattutto la gestione dei dipendenti pubblici che evidenzia un passivo di oltre 33 miliardi, parzialmente compensato dall’attivo di 6,3 miliardi delle gestioni dei lavoratori dipendenti privati e dai 7,4 miliardi di quella dei parasubordinati.

Un dato positivo riguarda il rapporto fra pensionati e lavoratori attivi, che è il migliore degli ultimi 23 anni, pari a 1,4578, un valore molto prossimo a quell’1,5 che potrebbe garantire la sostenibilità di medio-lungo periodo del sistema.

La spesa per l’assistenza, invece, si conferma un punto debole del nostro welfare state. Nel 2019, l’insieme delle sole prestazioni assistenziali (invalidi civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali e pensioni di guerra) ha toccato quota 4 milioni 177mila 011, quasi 56mila prestazioni in più rispetto al 2018, per un costo complessivo di 22,835 miliardi, importo in costante aumento negli ultimi otto anni. I beneficiari di prestazioni totalmente o parzialmente assistite sono, senza considerare le quattordicesime mensilità, 8 milioni 137mila 540 e, al netto delle duplicazioni relative ai soggetti contemporaneamente percettori di pensioni di invalidità civile e indennità di accompagnamento, 7 milioni 728mila 678, vale a dire il 48,2% dei pensionati totali.

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«È quasi assurdo pensare che in un Paese del G7 come l’Italia quasi il 50% di pensionati non sia stata in grado di versare neppure 15/17 anni di contributi regolari e debba quindi essere assistita dallo Stato – commenta Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – ed è allora importante che la politica rifletta su questi numeri. Innanzitutto, perché non sembrano rispecchiare le reali condizioni socio-economiche del Paese e, in secondo luogo, perché non va dimenticato che, a differenza delle pensioni finanziate da imposte e contributi, queste prestazioni gravano per 25,77 miliardi sulla fiscalità generale e non sono neppure soggette a imposizione fiscale».

Il reddito pensionistico medio pro-capite risulta pari a 18mila 765 euro annui lordi (15.mil 404 euro annui netti), 1.185 euro netti al mese. Le donne rappresentano il 51,9% dei pensionati, ma percepiscono il 43,9% dell’importo lordo complessivamente erogato, con un reddito pensionistico medio pari a 15mila 857 euro, che nel caso degli uomini sale invece a 21mila 906 euro. Un gender gap che, in realtà, sottolinea il report, non è attribuibile al sistema previdenziale, ma alla situazione sul mercato del lavoro.

Infine, le prospettive del sistema previdenziale, anche tenendo conto dell’impatto del Covid (che non è misurato dal rapporto, riferito al 2019). «E’ molto probabile che il mix di anticipi pensionistici introdotto dalla Legge di Bilancio per il 2019, sgravi contributivi e crisi pandemica abbia prodotto già per l’anno appena concluso risultati negativi, che perdureranno almeno fino al 2023», sottolinea Brambilla. Il Covid potrebbe ad esempio incentivare l’utilizzo di strumenti di pensione anticipata come la quota 100. In ogni caso, Itinerari Previdenziali stima che nel 2020 il numero di pensionati possa aumentare di circa 100mila unità e crescere anche nei mesi successivi, deteriorando per qualche anno il rapporto attivi/pensionati. Contemporaneamente, le entrate contributive risentiranno delle difficoltà occupazionali.

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La ricetta di Brambilla: sul fronte previdenziale, sarebbe « auspicabile non ricorrere ad altre forme di anticipo estemporanee, sfruttando la scadenza di Quota 100 per una vera e più equa revisione della normativa Fornero». Su quello occupazionale, l’obiettivo è contrastare gli effetti dello sblocco dei licenziamenti e dell’esaurimento della cassa integrazione Covid. Servono «interventi veloci e di qualità, che agiscano su almeno due leve: innanzitutto, il piano vaccini che, ancor più se unito a una massiccia campagna tamponi e alla disponibilità di terapie efficaci, potrebbe rimettere in moto l’economia una volta raggiunta l’immunizzazione di almeno il 65% della popolazione e, non meno importante, l’impiego delle risorse europee e l’avvio della Sblocca Cantieri con la nomina urgente dei commissari. Basterebbe il dispiegamento dei fondi esistenti in tre anni per recuperare totalmente l’occupazione persa per colpa della pandemia».