Il lavoratore in quarantena precauzionale non ha diritto alla malattia se lavora da casa in smart working: si tratta di un’importante precisazione contenuta nella circolare INPS che chiarisce tutte le regole che si applicano ai casi di quarantena del lavoratore. Specificando anche l’esclusione dal diritto alla malattia o alla degenza ospedaliera per i casi in cui la quarantena non sia disposta dal medico ma (ad esempio) da un provvedimento amministrativo.
I dettagli sono contenuti nel messaggio INPS 3653/2020, che fornisce una serie di aspetti su cui sono state evidenziate criticità interpretative, e che risulta di particolare importanza dopo la nuova disposizione del CTS (Comitato Tecnico Scientifico Coronavirus), che riduce a 10 giorni la quarantena obbligatoria per gli asintomatici, i quali possono poi uscire con un solo tampone o test negativo.
=> Quarantena: cambiano le regole anti-Covid
La circolare si concentra in particolare sul coordinamento fra le misure emergenziali sulla quarantena (equiparata alla malattia o, nei casi di particolari patologie, alla degenza ospedaliera) e la prassi nel mondo del lavoro. Un aspetto rilevante riguarda la gestione dei dipendenti che, pur asintomatici, devono stare in quarantena (ad esempio, perché sono stati a contatto con pazienti Covid), ma continuano a lavorare in smart working.
La premessa è la seguente: si tratta di casi di quarantena o sorveglianza precauzionale, in cui non si configura «un’incapacità temporanea al lavoro per una patologia in fase acuta tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa (presupposto per il riconoscimento della tutela previdenziale della malattia comune), ma situazioni di rischio per il lavoratore e per la collettività che il legislatore ha inteso tutelare equiparando, ai fini del trattamento economico, tali fattispecie alla malattia e alla degenza ospedaliera».
In pratica, la norma ha l’obiettivo di fornire al lavoratore e all’azienda uno strumento (la malattia, appunto) per gestire questi casi senza oneri economici per le parti.
Ma, contrariamente a quanto succede nei casi di malattia vera e propria, non esclude la possibilità di fare accordi di smart working. Il lavoro agile consente l lavoratore di rispettare la quarantena precauzionale, e contemporaneamente di proseguire l’attività lavorativa in sicurezza. E’ quindi una soluzione percorribile. In questi casi, però, non è possibile ricorrere alla tutela previdenziale della malattia o della degenza ospedaliera, perché appunto «non ha luogo la sospensione dell’attività lavorativa con la correlata retribuzione».
La precisazione è importante perché un’interpretazione rigida delle regole porterebbe a escludere l’ipotesi di smart working nei casi di quarantena precauzionale. Il lavoratore in malattia non può lavorare, e quindi il riconoscimento della malattia ai casi di quarantena precauzionale rischiava di configurare un divieto di lavoro agile.
L’INPS chiarisce quindi l’applicabili del lavoro agile, fornendo una sorta di interpretazione autentica della norma. E sottolineando anche, invece, «in caso di malattia conclamata (art. 26, comma 6) il lavoratore è temporaneamente incapace al lavoro, con diritto ad accedere alla corrispondente prestazione previdenziale, compensativa della perdita di guadagno».
Niente malattia anche per la quarantena disposta da ordinanze amministrative: ad esempio, divieti di allontanamento dal proprio territorio per evitare il contagio, provvedimenti di lockdown. In questi casi, le imprese possono attivare altri strumenti, come la cassa integrazione con causale Covid, o dove è possibile ricorrere allo smart working. Ma, questa è la precisazione, il lavoratore non ha diritto alla malattia. L’INPS sottolinea che il diritto alla CIG per questi lavoratori è stabilito dall’articolo 19 del decreto agosto (dl 104/2020) per i lavoratori delle ex zone rosse, ma applicabile a tutti i casi analoghi, in cui ci sono «ordinanze o provvedimenti di autorità amministrative che di fatto impediscano ai soggetti di svolgere la propria attività lavorativa».
Per i lavoratori che si recano all’estero, e vengono sottoposti eventualmente a provvedimenti di quarantena nel paese in cui si spostano, la malattia in caso di quarantena è prevista esclusivamente se c’è un provvedimento delle autorità sanitarie italiane.
Infine, viene stabilito il principio della prevalenza degli ammortizzatori sociali sulla malattia: significa che un lavoratore in cassa integrazione (ordinaria, straordinaria, in deroga) o titolare di assegno ordinario, non può chiedere la malattia, prevalendo la CIG (che determina la sospensione degli obblighi contrattuali con l’azienda, e comporta il venir meno della possibilità di poter richiedere la specifica tutela prevista in caso di evento di malattia). Ci sono un serie di casi particolari in questo senso (ad esempio, lavoratore in malattia prima dell’inizio della CIG) che restano regolati dai precedenti provvedimenti di prassi, in particolare il messaggio 1822 del 30 aprile 2020. Molto in sintesi, in questo caso prevale la CIG se è disposto per la totalità dei lavoratori di un ufficio o reparto, mentre in caso contrario il lavoratore ha diritto alla malattia prima di entrare in cassa integrazione.
Ricordiamo che tutte queste regole si coordinano con le novità normative relative alla quarantena per i casi asintomatici: 10 giorni un solo tampone o test rapido negativo per uscire dall’isolamento fiduciario.