A seguito del blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, disposto fino al prossimo 17 agosto (a partire dallo scorso 17 marzo) per l’emergenza Covid-19, possono scattare ipotesi di reintegro sul posto di lavoro. In questo caso – fermo restando che al lavoratore licenziato, anche se illegittimamente, resta il diritto di chiedere la NASpI – se il sussidio di disoccupazione era stato già erogato, allora vige l’obbligo per il dipendente reintegrato di restituire l’indennità percepita.
Lo ha spiegato l’INPS con Messaggio 2261/2020, che analizza le conseguenze del divieto di licenziamenti per motivi economici disposto dal Cura Italia (articolo 46 del DL 18/2020) e prorogato dal Decreto Rilancio, in relazione ai rapporti di lavoro dipendente (il blocco non riguarda il lavoro domestico o i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa).
In caso di reintegra sul posto di lavoro, il lavoratore è tenuto a comunicare all’INPS, attraverso il modello NASpI-Com, l’esito del contenzioso ai fini della restituzione della NASpI.
La restituzione dell’indennità NASpI deve avvenire anche nel caso in cui il datore di lavoro si avvalga della revoca del licenziamento (recesso per giustificato motivo oggettivo) tra il 23 febbraio ed il 17 marzo 2020 e della contestuale messa in cassa integrazione a partire dalla data di efficacia del precedente licenziamento.
Di fatto, sono bloccate tutte le procedure di licenziamento iniziate dopo il 23 febbraio e sono sospese le relative conciliazioni avviate. Per quanto riguarda la re oca, invece, i datori di lavoro possono chiedere la cassa integrazione con causale Covid 19 per i lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo fra il 23 febbraio e il 17 marzo ed in questo caso il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità.