Fondamentalmente, è il datore di lavoro che stabilisce quali sono i reparti che si occupano delle attività non indispensabili, che vanno chiuse (da intendersi come attività sospese) in base a quanto prevede il nuovo decreto sull’emergenza Coronavirus in vigore dal 12 al 25 marzo.
Lo strumento che la norma identifica per decidere nel modo migliore sono «le intese fra organizzazioni datoriali e sindacali». L’analisi delle novità è contenuta nella nuova circolare della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro (7/2020) dedicata al Dpcm dell’11 marzo.
Nel frattempo, si registrano scioperi in molte fabbriche per i timori di contagio e il Governo convoca un vertice con le parti sociali.
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Sospensione attività non indispensabili
La norma relativa alle imprese produttive (industria) è contenuta nel comma 7, lettera c, dell’articolo 1 del decreto, e prevede che:
«siano sospese le attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione».
Come si vede, la formulazione è relativamente perentoria (non un suggerimento ma una richiesta alle aziende). La ratio è chiara: limitare il più possibile la mobilità dei lavoratori, ovvero il tragitto casa – lavoro, per fermare il contagio Coronavirus.
Detto questo, sottolineano i consulenti del lavoro, «la scelta circa la indispensabilità dei reparti non può che ricadere in capo al datore di lavoro». E lo strumento per prendere la decisione può essere la contrattazione. Non è una considerazione ma un’indicazione contenuta nello stesso Dpcm, che in generale, invita a favorire «intese tra organizzazioni datoriali e sindacali».
Imprenditori e sindacati si stanno già muovendo in tal senso. I segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Anna Maria Furlan e Carmelo Barbagallo, hanno scritto una lettera ai presidenti delle associazioni datoriali (inviata per conoscenza al Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte), sottolineando come la situazione imponga di «affrontare insieme una nuova situazione e valutare iniziative immediate a salvaguardia della salute delle lavoratrici e dei lavoratori, in tutti i luoghi di lavoro e nel Paese», anche concordando «ove ritenuto necessario, una riduzione modulata (dal rallentamento fino alla sospensione momentanea) della attività lavorativa manifatturiera e dei servizi, utilizzando al tal fine gli ammortizzatori sociali legislativamente disponibili o che saranno resi disponibili dai provvedimenti che sono in discussione e, ove se ne conviene, gli strumenti previsti dai CCNL».
I sindacati fra le altre cose segnalano la difficoltà che stanno registrando in molti luoghi di lavoro di far applicare le nuove norme. La giornata del 12 marzo ha visto diversi scioperi nelle fabbriche in tutto il Paese, con i lavoratori preoccupati sui livelli di sicurezza nei rispettivi posti di lavoro.
Per la mattina del 13 marzo è prevista una riunione in videoconferenza fra il premier, Giuseppe Conte, i ministri economici (Roberto Gualtieri, Nunzia Catalfo, Stefano Patuanelli) e il ministro della Salute Roberto Speranza, «per discutere con le associazioni industriali e i sindacati dei protocolli di sicurezza da attuare nelle fabbriche a tutela della salute dei lavoratori».
Il Dpcm dell’11 marzo in questo senso contiene già alcune indicazioni: sempre la distanza di almeno un metro fra le persone. Dove non fosse possibile, adozione di strumenti di protezione individuale. In tutti i casi, sono previste «operazioni d sanificazione dei luoghi di lavoro», utilizzando eventualmente ammortizzatori sociali.
Di fatto, sottolineano i consulenti del lavoro, si tratta di una clausola che sblocca immediatamente la possibilità di attivare la cassa integrazione quando giustificata dalla sanificazione dei luoghi di lavoro.