Tratto dallo speciale:

Coronavirus, occasione per sperimentare lo smart working

di Barbara Weisz

Pubblicato 28 Febbraio 2020
Aggiornato 2 Marzo 2020 14:22

logo PMI+ logo PMI+
Smart working formula lavorativa del futuro, anche oltre l'emergenza Coronavirus: vantaggi per aziende e lavoratori, trend, scenari pratici. PMI.it intervista Andrea Giordan.

«Lo smart working offre alle imprese la possibilità di non interrompere il flusso produttivo» in questi giorni caratterizzati dall’emergenza coronavirus. Ma è anche «un’opportunità enorme per sperimentare sul campo l’efficacia del lavoro agile».

Così Andrea Giordan, consulente del lavoro di F2A (società che opera nel panorama italiano dell’outsourcing nelle aree HR e amministrazione e finanza), intervistato da PMI.it sulle potenzialità del lavoro a distanza. Si tratta di una delle prime risposte che le imprese hanno dato all’emergenza epidemiologica legata al rischio Covid-19, anche in considerazione delle indicazioni arrivate dalle autorità per contenere il potenziale contagio.

I decreti del Governo, fra l’altro, stanno semplificando l’adozione dello smart working nelle regioni in cui si registrano casi di contagio (Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Piemonte) fino al prossimo 15 marzo (non c’è bisogno dell’accordo individuale).

Smart working pro e contro

Vediamo con l’aiuto di Giordan quali sono i principali vantaggi e punti critici dello smart working.

Innanzitutto, «è una modalità operativa che consente di conciliare i tempi vita lavoro». E questo è un vantaggio sia per il lavoratore sia per l’azienda. Lavorare in remoto significa, ad esempio, «comprimere notevolmente, nelle grandi aree urbane, i tempi di percorrenza casa-lavoro», che fanno perdere produttività. E con le tecnologie lo smart working è alla portata di tutti: l’azienda deve solo fornire un pc al dipendente, che in genere in casa ha già la connessione.

=> Tecnologie per lo smart working: PMI indietro

In realtà, il nodo principale da affrontare non è tecnologico. «Lo smart working richiede un cambiamento di mentalità: la vera crasi, l’elemento differenziale, è il cambiamento culturale nelle aziende. Il vecchio sinallagma ore di disponibilità/più retribuzione, si sposta verso il risultato».

Questo, richiede «una grossa consapevolezza del lavoratore verso gli obiettivi, perché si deve autogestire. Fermo restando il rispetto degli orari di riposo» e di tutte le altre regole (diritto alla disconnessione, infortuni sul lavoro, e via dicendo).

Se da una parte c’è un discorso legato alla responsabilizzazione del lavoratore, dall’altra ci deve essere un altrettanto importante atto di fiducia da parte del datore di lavoro, «che riconosce ai lavoratori la responsabilità, affida dei task». E qui, il vero scalino da superare, nelle aziende, «è la fiducia delle posizioni intermedie, dei manager intermedi», che spesso si sentono in difficoltà nel gestire questo cambiamento.

«La grande sfida, quindi, è formare queste persone, facendo loro capire che lo smart working è un’opportunità per incrementare la produttività. I lavoratori perdono meno tempo negli spostamenti, possono conciliare meglio vita privata e lavoro, e diventano più performanti».

Da emergenza a sistema

Lo smart working sarà sempre più praticato nel futuro, e in questo senso le misure di questi giorni per contenere il coronavirus possono essere considerate dalle aziende come un’opportunità per sperimentare sul campo il lavoro agile. Si tratta di un terreno sul quale, ad esempio, le aziende anglosassoni «sono molto più avanti», e anche in Italia «la tendenza andrà imponendosi. Anche perché consente di comprimere costi aziendali: sharing desk senza uffici assegnati, costi di gestione degli spazi, risparmi notevoli sulla sede, che ha sempre più una funzione di rappresentanza».

Le aziende più strutturate investono anche in formazione legata a questi temi. Introdurre nuove modalità di lavoro dall’alto, senza spiegarle, risulta infatti controproducente. «Per esempio, una nelle resistenze che noto è nel concedere il lunedì e il venerdì in smart working. C’è il timore che venga percepito come un giorno di ferie». In realtà, basterebbe applicare lo smart working «in modo graduale: iniziare con un giorno a settimana, poi salire a due o tre. Magari aggiungendo il lunedì o il venerdì».

Poi ci sono anche una serie di altre esigenze di cui bisogna tenere conto. «Evitare forme di alienazione, prevedere momenti di coordinamento». In generale, è una forma di lavoro che va graduato sulle esigenze aziendali.

In ogni caso, si tratta di un tema a cui le imprese sono sempre più sensibili. Anche le PMI, pur con qualche distinguo. Sono senz’altro più avanti «le medie imprese, intorno ai 100 dipendenti. Per quanto riguarda le piccole imprese, dipende molto dal settore di attività. Se appartengono al manifatturiero hanno maggiori difficoltà», legate al fatto che la produzione, pur con le nuove tecnologie, richiede la presenza fisica sul luogo di lavoro.

«Una cosa che noto è invece una forte attenzione delle aziende nascenti a capitale estero, che privilegiano lo smart working rispetto al tradizionale ufficio di rappresentanza». In generale, comunque, «c’è un incremento di interesse su questi temi, con molte aziende, fra i nostri clienti, che si informano, chiedendo quali siano i regolamenti applicabili, in questo momento specifico e in generale».