L’indennità di mobilità non può sempre essere considerata integralmente in sede di liquidazione della retribuzione pensionabile, al pari di quella di trasferta avente effettivo valore retributivo, bisogna poter dimostrare gli elementi retributivi utilizzabili per la determinazione della base di calcolo: il chiarimento della Corte di Cassazione (sentenza n. 2714/2020) trae origine da un caso sottoposto alla Corte in cui un lavoratore aveva contestato all’INPS un errore nel calcolo della pensione, ritenendo che, in violazione dell’art. 7 della legge 223/1991, fosse stata considerata solo parzialmente l’indennità di mobilità percepita durante gli anni in cui era in servizio. Per indennità di mobilità (ex articolo 4, comma 1, Legge 223/1991) si intendono le somme dovute per la cessazione del rapporto di lavoro conseguente alla CIGS (articolo 1, comma 9, legge n. 223/1991 e articolo 1, comma 2 terzo periodo, decreto legge n. 726/1984, convertito in legge n. 863/1984). La legge 28 giugno 2012 n. 92, e successive modificazioni, ha abrogato l’intervento dal 1 gennaio 2017 equiparandolo ad altre prestazioni di sostegno al reddito.
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Indennità di mobilità e retribuzione pensionabile
Il punto è che i due concetti di retribuzione utilizzabile ai fini del calcolo dell’indennità di mobilità e di retribuzione pensionabile fine a se stessa non sono necessariamente coincidenti: l’aumento della retribuzione posta a base dell’indennità di mobilità non fa scattare in automatico l’aumento della retribuzione pensionabile: è necessario comprovare gli elementi retributivi ritenuti utilizzabili per la determinazione della retribuzione pensionabile.
Ad esempio, se le indennità di trasferta rientrano integralmente nell’indennità di mobilità, vanno incluse al 50% nella retribuzione pensionabile (l’indennità di trasferta può avere carattere risarcitorio come rimborso in casi occasionali, oppure retributivo come elemento non occasionale e predeterminato della retribuzione in casi continuativi). Motivazione ribadita anche dalla Corte di Cassazione che ha rigettato definitivamente il ricorso del lavoratore nella sentenza in oggetto, rifiutando quindi la riliquidazione della pensione.
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Accredito contributi figurativi
In generale, l’accredito di contribuzione figurativa ai fini della retribuzione pensione avviene d’ufficio in caso di:
- cassa integrazione;
- disoccupazione;
- mobilità;
- lavori socialmente utili;
- contratti di solidarietà;
- assistenza antitubercolare;
- invalidità e inabilità indennizzate con successivo recupero della capacità lavorativa.
Invece, si deve fare domanda di accredito per vedersi riconoscere i contributi figurativi derivanti da:
- servizio militare e assimilati;
- maternità e congedi parentali;
- educazione e assistenza dei figli;
- malattia e infortuni;
- donazione di sangue e midollo osseo;
- aspettativa per funzioni pubbliche elettive e cariche sindacali;
- persecuzione politica o razziale;
- licenziamento per rappresaglia;
- assistenza a disabili (Legge 104);
- congedo per donne vittime di violenza.