Mentre si accorcia il tempo utile per lasciare il mondo del lavoro ricorrendo alla Quota 100, rispunta la Quota 102 sul tavolo del Governo alle prese con la riforma pensioni, da inserire in queste ore nella bozza di Legge di Bilancio 2022, anche soltanto per un periodo di pochi anni, esattamente come si era fatto con la precedente Quota 100, rendendola dunque un’altra formula sperimentale per la pensione anticipata, ma stavolta con 64 anni di età e 38 anni di contributi. I tempi stringono e le risorse mancano, dunque serve una soluzione tampone rapida: dal prossimo gennaio tornerà infatti lo scalone anagrafico che, dagli attuali 62 anni (e 38 di contributi), richiederà invece 67 anni di età per la pensione di vecchiaia e almeno 42 anni e 10 mesi di contributi (uno in meno per le donne) per quella anticipata. Non solo: dal 2026 riprenderà la progressione del requisito pensionistico dovuta all’adeguamento alle speranze di vita (scatti), ritornando ad applicarsi le regole della Legge Fornero.
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Riforma Pensioni
Per arginare l’ondata di malcontento dovuta alla fine della sperimentazione della della Quota 100, il Governo studia da tempo meccanismi e formule intermedie, in attesa della Riforma Pensioni vera e propria, al momento messa in stand by dal Ministro Andrea Orlando, fino a quando non saranno portate a termine altre riforme prioritarie alla luce dell’emergenza Covid, a partire da quella degli ammortizzatori sociali. La formula di compromesso che potrebbe soddisfare tutti è da molti considerata quella della pensione anticipata con la Quota 102.
Pensione Quota 102
La Quota 102 è stata teorizzata dall’economista e presidente del Centro Studi e Ricerche “Itinerari Previdenziali” Alberto Brambilla, ex Sottosegretario al Ministero del Welfare con delega alla Previdenza Sociale. Si tratta di una formula simile alla Quota 100: come suggerisce il nome, prevede come requisito per l’uscita anticipata 64 anni di età e 38 di contributi, a cui si aggiungerebbero gli adeguamenti alla speranza di vita.
Per rendere sostenibile la misura, il rovescio della medaglia potrebbe essere il ricalcolo contributivo dell’assegno, sulla falsariga dell’Opzione Donna. Rispetto alla Quota 100, quindi, ci sarebbe comunque un risparmio per lo Stato, rendendo la misura attuabile anche con l’attuale sistema previdenziale. A dire il vero, su questo punto è scettico Brambilla, secondo cui con la Quota 102 non dovrebbero neppure esserci penalizzazioni sull’assegno, perché «ci sono già i coefficienti di trasformazione, in base ai quali prima vai in pensione, meno prendi».
Nel Dpb (Documento programmatico di bilancio) approvato il 19 ottobre il Consiglio dei Ministri, la Quota 102 è stata “congelata” perché non si è entrati nel dettaglio e soprattutto perché la nuova formula non ha l’appoggio politico della Lega. La proposta sarà comunque esaminata nei prossimi giorni, quando si stilerà il testo del disegno di legge della Manovra economica vera e propria, entrando nel merito delle singole misure sa finanziare ed attuare. Nel frattempo, restano in piedi anche altre proposte.
Altre proposte
Lo stesso Brambilla si è fatto portavoce in passato anche di ulteriori proposte, come la Quota 103 (64 anni di età e 39 di contributi, parimenti invisa dalla Lega) e l’estensione dei fondi di solidarietà o dell’esubero – sperimentati nei settori bancari, postali e assicurativi – per rendere le opzioni di flessibilità in uscita più convenienti per una più vasta platea di beneficiari, incontrandone le diverse necessità. Per compensare il ricorso alla Quota 102 o 103, si potrebbe introdurre un bonus contributivo in busta paga (ad esempio 50%) per i lavoratori che accettassero di lavorare, nel settore privato, fino a 71 anni. Non da ultimo, si potrebbe prorogare il congelamento degli scatti pensione, disallineando il requisito anagrafico dall’adeguamento alla speranza di vita. Come spiegato dallo stesso Brambilla, bisogna agire sulla parte di Riforma Fornero che ha imposto l’indicizzazione dell’anzianità. I 42 anni e dieci mesi per gli uomini e i 41 e dieci mesi per le donne devono restare fissi.
Non esiste al mondo un sistema previdenziale che indicizzi l’anzianità di servizio. Arriveremmo a dover lavorare per 45 anni con il paradosso di poter andare in pensione a 67 anni con 20 anni di contributi senza potersi ritirare per chi ne ha lavorato 41.
Quale che sia la formula di compromesso scelta, entro dicembre è necessario adottare strumenti almeno “minimi” di Riforma Pensioni che, anche e soprattutto in questo particolare momento storico, potrebbero favorire il ricambio generazionale nel mercato del lavoro e dare soluzione alle tante situazioni di difficoltà economica per i lavoratori generate dalla crisi Covid.