I Minibot o sono moneta, e allora sono illegali, oppure sono debito, e allora il debito sale. Non vedo una terza possibilità.
Al di là di di valutazioni politiche e del giudizio lapidario del presidente della BCE, Mario Draghi, potrebbero davvero essere utilizzati dalla PA come modalità di pagamento delle imprese fornitrici? Potrebbero davvero saldare i crediti sostituendo la “moneta” con titoli di stato “speciali”, utilizzabili per l’acquisto di beni e servizi al dettaglio?
Facciamo un passo indietro. I debiti commerciali delle Amministrazioni pubbliche sono uno dei problemi storici dell’economia italiana ma, come riportato della Relazione Annuale recentemente presentata dal Governatore della Banca d’Italia, sono in costante diminuzione e oggi ammontano a circa 53 miliardi. Benché dimezzatasi rispetto al picco del 2012, l’incidenza delle passività commerciali rimane la più alta in Europa.
E anche se lo scorso anno i tempi medi di pagamento hanno continuato a ridursi attestandosi a circa 85 giorni, secondo l’European Payment Report 2019 in Italia continuano a essere superiori di quasi un mese rispetto alla media europea. La situazione è meno grave rispetto al passato ma rimangono evidenti e ampi margini di miglioramento.
Come fare per superare anche queste ultime inefficienze? Rispetto alla soluzione più semplice, emettere nuovo debito “ordinario”, c’è un’alternativa meno costosa per le casse pubbliche: favorire la cessione dei crediti commerciali vantati dalle imprese a operatori specializzati.
=> Come funziona la cessione dei crediti commerciali
Gli ultimi dati disponibili sono del 2016 e mostrano come soltanto poco più di 8 miliardi dei debiti commerciali delle imprese nei confronti della PA sono smobilizzati dal sistema finanziario, tramite factoring o tramite cessione pro soluto. Troppo pochi.
Per fare un esempio, nel 2016 Banca Valsabbina ha lanciato un prodotto per l’acquisto pro soluto dei crediti delle imprese nei confronti della PA, acquisendone per oltre 400 mln di euro (di cui 250 mln già incassati) e offrendo un contributo concreto al miglioramento dei tempi di incasso delle aziende.
Ma in questo comparto nascono spesso delle difficoltà: non tutte le Pubbliche Amministrazioni fanno ricorso alla Piattaforma dei Crediti Commerciali gestita dal MEF, molte rifiutano ancora le cessioni del credito, impedendo di fatto a molte aziende di accedere a questo strumento o costringendo le banche ad attendere i 45 giorni che intercorrono dalla delibera all’erogazione.
Cosa possiamo fare, quindi?
Anche dopo i recenti annunci di politica monetaria della BCE, il sistema finanziario è liquido e lo rimarrà a lungo. Non servono nuove risorse finanziarie, che si tratti di nuovo debito reperito dallo Stato sul mercato o di minibot.
- Servirebbe una legge per rendere finanziabile la totalità dei propri debiti commerciali, e che dovrebbe prevedere l’obbligatorietà della certificazione del credito in PCC in tempi certi da parti di tutte le PA.
- Si dovrebbe introdurre il divieto di rifiuto della cessione, spesso usato in maniera strumentale dagli enti pubblici e, infine,
- Si dovrebbe prevedere una garanzia statale sui crediti commerciali che le PMI smobilizzano presso le banche – come avviene con il Medio Credito Centrale per i finanziamenti – consentendo alle banche di evitare il rischio di default e ottenere risparmi in termini di capitale.
Con questi semplici interventi, la gran parte dei crediti commerciali delle imprese potrebbe essere facilmente smobilizzata dal sistema bancario, determinando benefici per le imprese in termini di liquidità disponibile a costi contenuti, senza l’introduzione di nuovi strumenti, che rischierebbero di avere effetti deleteri in termini di credibilità per il sistema economico del nostro paese.
Mancanza di credibilità che già paghiamo ogni giorno in termini di maggiori oneri sul nostro già consistente debito pubblico, drenando di fatto risorse che potrebbero essere invece destinate a nuovi investimenti e alla spesa corrente.
Di Paolo Gesa, Responsabile Divisione Business di Banca Valsabbina.