Le adesioni dimostrano come la quota 100 sia uno strumento previdenziale particolarmente apprezzato, i sindacati esprimono soddisfazione e presentano proposte di modifica che allarghino la platea, ad esempio alle lavoratrici con figli.
Le richieste di Cgil, Cisl e Uil sono state formulate nel corso dell’audizione alla Camera, in commissione Lavoro, per la legge di conversione del decreto che contiene la quota 100.
La prima va incontro alle donne, che al momento vengono penalizzate dalla misura.
Quota 100 viene percepita dai lavoratori come una possibilità ulteriore verso un accesso più flessibile alla pensione, ma ciò non è sufficiente perché i dati diramati dall’Inps dimostrano chiaramente che questa forma di flessibilità non è in grado di rispondere in modo omogeneo alle esigenze di molti lavoratori e lavoratrici. In particolare, rispetto al totale delle domande, poco più di un quarto sono state presentate da donne.
In effetti, l’alta partecipazione maschile è sin dall’inizio un elemento che sta caratterizzando l’applicazione della quota 100. In base ai dati INPS aggiornati al 4 marzo, oltre il 70% delle 80mila domande arrivano da lavoratori maschi.
Il punto, proseguono i sindacati, è che la quota 100
rappresenta un’opportunità per lavoratori con carriere continue e strutturate, ma è decisamente meno accessibile ai lavoratori del Sud e del tutto insufficiente per le donne, per i lavoratori con carriere discontinue o occupati in particolari settori produttivi caratterizzati da stagionalità o appalti, come quello agricolo o dell’edilizia, nei quali è difficile trovare un lavoratore con 38 anni di contributi.
Fra le richieste destinate alle lavoratrici donne, una riduzione contributiva, almeno in presenza di figli, come previsto per l’Ape sociale.
I sindacati chiedono anche il blocco delle aspettative di vita esteso alle pensioni di vecchiaia (l’attuale norma prevede lo stop dal 2019 solo per le pensioni anticipate), la proroga dell’APE sociale fino al 2021.
Bene l’anticipo TFS per i dipendenti pubblici, ma la richiesta dei sindacati continua a essere per l’eliminazione strutturale del differimento (oggi i dipendenti pubblici prendono il trattamento di fine servizio anche uno o due anni dopo la cessazione del servizio»).