Il contratto part-time offre ai datori di lavoro il vantaggio di costi ridotti e garantisce al dipendente il diritto pieno alla pensione al raggiungimento dell’età pensionabile.
La differenza è che, con il tempo parziale orizzontale (ossia quando si lavora con orario ridotto ma tutti i giorni, ad esempio dalle 9 alle 13) ai fini previdenziali c’è un diverso impatto sull’importo dell’assegno di cui bisogna tenere presente, soprattutto se si sta valutando questa opzione rispetto al full-time.
Lo svolgimento del tempo ridotto non determina dunque un allungamento dell’età pensionabile ma una minore contribuzione versata, che incide pertanto sulla misura finale della pensione.
Vediamo come, quanto e perché.
Calcolo pensione dopo il part-time
La retribuzione percepita con il part-time è ovviamente inferiore di quella che si percepirebbe per lo stesso lavoro, svolgendolo full-time. Questo ha un ovvio impatto sull’importo della pensione futura, soprattutto per la parte calcolata con il sistema contributivo, con il quale verranno calcolate praticamente tutte le pensioni future.
Ricordiamo, infatti, che per chi è entrato nel mondo del lavoro dopo il 1995 la pensione viene calcolata con il sistema contributivo puro.
Diritto alla pensione
Il diritto alla pensione si basa sull’anzianità di servizio, indipendentemente dal fatto che si tratti di lavoro a tempo pieno o part-time. Gli anni di lavoro part-time sono conteggiati allo stesso modo di quelli a tempo pieno, a condizione che si rispetti il contributo minimo richiesto. Tuttavia, se la retribuzione per le ore lavorate è inferiore al minimo richiesto, l’anzianità contributiva verrà ridotta proporzionalmente.
Il ruolo chiave dell’orario di lavoro
Le ore retribuite per il lavoro part-time di ciascun anno devono essere divise per l’orario settimanale previsto per i lavoratori a tempo pieno. Il risultato di questa divisione, arrotondato per eccesso, rappresenta il numero di settimane considerate per il calcolo dell’assegno pensionistico. È importante tenere presente queste considerazioni quando si sceglie il lavoro part-time e si pianifica il futuro pensionistico.
Come si calcola la pensione part-time?
Il calcolo dell’importo della pensione nel caso di lavoro part-time è influenzato principalmente dal sistema di calcolo contributivo. In questo sistema, l’importo della pensione dipende esclusivamente dalla retribuzione percepita e dagli anni di lavoro. Nel caso del lavoro part-time, in cui la retribuzione è inferiore a quella per un lavoro a tempo pieno, l’importo dell’assegno pensionistico sarà ridotto di conseguenza.
Nel dettaglio, nel sistema contributivo, l’importo della pensione si ottiene moltiplicando il coefficiente di trasformazione per il montante contributivo. Per il lavoro part-time, questo montante contributivo è pari al 33% della retribuzione, il che significa che più sono i periodi di lavoro a tempo parziale, più basso sarà l’importo della pensione futura.
Quanto si prende di pensione in part-time?
L’importo della pensione per chi ha lavorato part-time dipende dunque dal sistema di calcolo applicato, dal montante contributivo accumulato e dal coefficiente di trasformazione. In generale, il lavoro part time non incide sul diritto alla pensione, ma solo sulla misura del trattamento pensionistico.
Un anno di lavoro part time vale quanto un anno di lavoro a tempo pieno ai fini del raggiungimento dei requisiti anagrafici e contributivi per la pensione.
Tuttavia, abbiamo visto che il lavoro part-time comporta una retribuzione inferiore al lavoro a tempo pieno e quindi anche un versamento di contributi previdenziali inferiore. Questo significa che il montante contributivo, ovvero la somma dei contributi versati nel corso della vita lavorativa, sarà più basso per chi ha lavorato part time rispetto a chi ha lavorato a tempo pieno.
Calcolo della quota contributiva
L’importo della quota di pensione contributiva si calcola moltiplicando il montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione.
- Il montante contributivo è uno degli elementi che determina l’importo della pensione calcolata con il sistema contributivo, che si ottiene moltiplicando il coefficiente di trasformazione per il montante contributivo stesso.
- Il coefficiente di trasformazione è un parametro che dipende dall’età anagrafica e dal sesso del lavoratore al momento del pensionamento e che tiene conto della speranza di vita media. Più alto è il coefficiente di trasformazione, più alta sarà la pensione.
Come per gli altri contratti da lavoro dipendente, anche per il part-time il montante contributivo è pari al 33% della retribuzione, che essendo più bassa di quella full-time comporterà una contribuzione notevolmente inferiore.
Calcolo della quota retributiva
L’eventuale parte dell’assegno determinata con il sistema retributivo (per i versamenti antecedenti al 1995) non viene svalutata, anche se si sceglie di svolgere gli ultimi periodi di lavoro pre-pensione in modalità part-time.
Anche nel pubblico impiego, per la determinazione delle quote retributive di pensione, si continua ad utilizzare il valore della retribuzione teoricamente prevista per il rapporto di lavoro a tempo pieno.
PS: l’INPS consente di richiedere il riconoscimento del part-time in tempo pieno ai fini del raggiungimento dei requisiti di anzianità lavorativa ai lavoratori che svolgono attività a tempo parziale verticale o ciclico.
Età pensionabile dopo il part-time
Per quanto riguarda il raggiungimento dell’età pensionabile, nel settore privato i periodi di tempo svolti in part-time (orizzontale o verticale) vengono conteggiati al pari di quelli svolti in full-time a condizione che sia stato rispettato il minimale INPS per il lavoro dipendente (circa 205 euro settimanali), ai sensi dell’articolo 7 del Dl 463/1983.
Nel settore pubblico viene meno questo vincolo, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della legge n. 554 del 1988 secondo il quale, ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione e del diritto all’indennità di fine servizio, gli anni di servizio ad orario ridotto sono da considerarsi sempre utili per intero.
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Requisiti per i contributivi puri
Coloro che sono entrati o entreranno nel mondo del lavoro dopo il 1995, a partire dal 2024, per l’accesso alla pensione di vecchiaia oggi a 67 anni), dovranno aver maturato una pensione pari ad almeno l’assegno previdenziale. Soglia per raggiungere la quale, in caso di lavoro part-time, potrebbe essere necessario allungare la carriera lavorativa.
Al raggiungimento di 70 anni di età è invece possibile uscire al mondo del lavoro a prescindere dall’importo soglia.
Qual è il minimo di ore part-time per una pensione con contributi pieni?
Non c’è un minimo ore part-time per una pensione per contributi pieni: il requisito essenziale per ottenere una pensione completa sono i contributi previdenziali, non il numero di anni di lavoro.
Per il settore privato in Italia, i periodi di lavoro part-time, che siano orizzontali (con una riduzione delle ore lavorative settimanali) o verticali (con una riduzione delle giornate lavorative settimanali), vengono considerati alla pari di quelli svolti a tempo pieno solo se viene rispettato un requisito fondamentale: il minimale INPS per il lavoro dipendente.
Questo valore è fissato annualmente in base alla rivalutazione delle pensioni, è pari al 40% del valore annuo del trattamento minimo di pensione ed è soggetto a continui cambiamenti. Nel 2024, il trattamento minimo INPS per la pensione è di 614,77 euro all’anno.
Se la retribuzione percepita da un lavoratore part-time è inferiore a questa soglia, il periodo lavorato non verrà riconosciuto per intero, ma sarà soggetto a una riduzione proporzionale di quanto versato.
Quanto valgono gli anni in part-time ai fini della pensione?
Non sempre un anno di lavoro equivale a un anno di contributi pensionistici, soprattutto per chi lavora a tempo parziale, soprattutto a poche ore.
C’è il rischio, infatti, che ai fini della pensione una settimana di lavoro part-time non dia diritto al riconoscimento di una settimana contributiva, e di conseguenza alla fine dell’anno ci si ritroverà con meno versamenti rispetto a quelli attesi.
Ciò avrà conseguenze non solo sull’importo della pensione futura, ma anche per il raggiungimento del diritto alla stessa: si pensi, ad esempio, a una persona che ha lavorato per 20 anni con contratto part-time ed è convinta che questo sia sufficiente per accedere alla pensione di vecchiaia a 67 anni, per la quale appunto sono richiesti 20 anni di contributi.
Tuttavia, una volta effettuato l’estratto conto contributivo si renderà conto che i contributi accreditati non raggiungono i 20 anni richiesti e di conseguenza, a meno che non decida di riscattare gli anni mancanti, non potrà accedere alla pensione di vecchiaia.
Esempi di calcolo pensione dopo il part-time
Una serie di esempi pratici può aiutare a capire meglio questo concetto.
Part-time di 20 ore settimanali
Se in un anno ci sono state 52 settimane in cui il lavoratore ha svolto almeno un giorno di lavoro, il calcolo sarebbe il seguente: 20 ore (orario part-time) moltiplicate per 52 settimane danno un totale di 1.040 ore lavorate e retribuite. Dividendo 1.040 per 40 (orario settimanale a tempo pieno), si ottengono 26 settimane utili per il calcolo della pensione.
Pertanto, lavorando con queste condizioni, per raggiungere i 20 anni di contributi richiesti per l’accesso alla pensione di vecchiaia (pari a 1.040 settimane, pari a 20*52), sarà necessario lavorare per circa 36 anni (=1.040/29).
Questo per quanto concerne le settimane utili per il calcolo della pensione, poiché l’importo della pensione viene calcolato prendendo in considerazione l’anzianità di servizio relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e, in modo proporzionale all’orario svolto, l’anzianità di servizio prestata a tempo parziale.
Part-time per 52 settimane annue
Se lavorando al 50% dell’orario previsto per un lavoro a tempo pieno guadagnando €10.000 nell’anno – mentre il minimo richiesto per coprire 52 settimane è di €11.5912,68 – le settimane utili per il diritto alla pensione saranno 46, poiché €8.168,16 diviso per 52 settimane equivale a €229,096 come minimo settimanale per l’anno 2023. Di conseguenza, €10.000 diviso per €229,096 equivale a 43,6 settimane, che vengono arrotondate a 44 settimane.
NB: Nel caso del lavoro part-time verticale, i periodi non lavorati e non coperti da contribuzione obbligatoria possono essere riscattati su richiesta del lavoratore.
Retributivo e contributivo a confronto
È importante ricordare che, come sopra riportato, questa situazione non si applica al calcolo retributivo della pensione, che non subisce una svalutazione dell’assegno in presenza di periodi di lavoro part-time. Tuttavia, per chi è interamente nel sistema contributivo, non è sufficiente aver raggiunto l’età di 67 anni e accumulato 20 anni di contributi per ottenere la pensione di vecchiaia.
È necessario che l’assegno superi almeno 1,5 volte il valore dell’assegno sociale. Questo può essere un obiettivo difficile da raggiungere in presenza di un lungo periodo di lavoro part-time, ritardando il pensionamento.
Un esempio pratico
Per fare un esempio, supponiamo che due lavoratori abbiano entrambi 67 anni e abbiano versato 20 anni di contributi, ma uno abbia lavorato a tempo pieno e l’altro a part time al 50%.
Supponiamo inoltre che il coefficiente di trasformazione sia pari a 5,5% per entrambi. Se il lavoratore a tempo pieno ha una retribuzione media annua di 30.000 euro e il lavoratore a part time ha una retribuzione media annua di 15.000 euro, il loro montante contributivo sarà rispettivamente:
- 30.000 x 0,33 x 20 = 198.000 euro per il lavoratore a tempo pieno
- 15.000 x 0,33 x 20 = 99.000 euro per il lavoratore a part time
La loro pensione annua sarà quindi:
- 198.000 x 0,055 = 10.890 euro per il lavoratore a tempo pieno
- 99.000 x 0,055 = 5.445 euro per il lavoratore a part time
Come si può vedere, la pensione del lavoratore a part time è circa la metà di quella del lavoratore a tempo pieno, pur avendo lo stesso numero di anni di contributi.
Pensione part-time: il modello scandinavo
Nei Paesi scandinavi, come Norvegia e Svezia, il concetto di pensionamento “part time” è stato sperimentato con successo per diversi anni, prevedendo una graduale riduzione dell’orario di lavoro nell’arco di due o tre anni. Un esempio concreto arriva dalla Svezia, dove i dipendenti pubblici possono richiedere una pensione parziale continuando a lavorare almeno il 50% delle ore previste dal loro contratto.
La richiesta può essere avanzata dal mese in cui il dipendente compie 61 anni fino al mese precedente a quello in cui compie 65 anni, età in cui può andare regolarmente in pensione. Il livello di pensione parziale richiesto può variare dal 10% al 50% dell’orario previsto dal contratto e l’importo ricevuto dipende dalle ore lavorate.
In pratica, il dipendente non smette del tutto di lavorare, ma riduce progressivamente le ore fino al raggiungimento dell’età pensionabile, creando un sistema misto di lavoro e pensione. Ciò facilita il passaggio delle competenze e favorisce il ricambio generazionale. Una volta concessa la pensione parziale, il dipendente viene considerato a tempo parziale e l’orario viene rimodulato in base alle esigenze dell’azienda.
Applicazione in Italia
Tuttavia, uno dei principali ostacoli di attuare anche in Italia una sorta di pensione part time sul modello scandinavo sono i costi associati. La seconda Finanziaria del governo Meloni prevede già un budget di due miliardi di euro per la previdenza, escludendo la rivalutazione delle pensioni, che potrebbe richiedere fino a 13 miliardi di euro.