Con tre diversi interpelli, l’Agenzia delle Entrate fornisce importanti chiarimenti in merito al regime speciale degli impatriati, ovvero i lavoratori che nel 2019 intendono trasferire la propria residenza fiscale in Italia e avvalersi dei benefici previsti dall’articolo 16 del Dlgs 147/2015 (“Decreto internazionalizzazione”), con particolare riferimento ai requisiti di accesso al trattamento fiscale di favore.
Agevolazioni per impatriati
Si tratta del regime speciale per i lavoratori impatriati volto ad attrarre nel nostro Paese lavoratori con alte qualificazioni e specializzazioni, riservando loro alcuni interessanti incentivi fiscali, sotto forma di imponibilità del reddito (di lavoro dipendente e autonomo) prodotto in Italia nella misura del 50% a favore di coloro che trasferiscono la residenza in Italia. L’agevolazione ha natura temporanea: è applicabile per un quinquennio a partire dal periodo d’imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia e per i quattro successivi.
=> Regime fiscale speciale per gli impatriati
Periodo di residenza all’estero
Con la risposta n. 32/2019 viene precisato che il comma 2 dell’articolo 16 del Dlgs n. 147/2015 e la la circolare n. 17/E/2017 hanno previsto che possano accedere a tale agevolazione i cittadini UE (o di uno Stato extraeuropeo con il quale è in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale) che presentano i seguenti requisiti:
- sono laureati
- negli ultimi ventiquattro mesi o più hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro o studio fuori dall’Italia;
- svolgono un’attività di lavoro autonomo o dipendente in Italia.
Questo significa che se non sono rispettati tutti i criteri sopra indicati, compreso il periodo di residenza all’estero per almeno due periodi d’imposta, che costituisce il periodo minimo sufficiente a integrare il requisito della non residenza in Italia (cfr risoluzione n. 51/E/2018), il lavoratore non può accedere agli incentivi.
Negativa quindi la risposta delle Entrate al quesito con il quale si chiedeva se il regime speciale per gli impatriati fosse applicabile a un lavoratore, laureatosi in Italia, residente all’estero e iscritto all’AIRE (dal 16 giugno 2017) che, dopo aver frequentato un corso universitario in Francia (dal 5 gennaio al 21 dicembre 2017) si era successivamente trasferito nel Regno Unito (nel 2018) dove attualmente lavora (dal 16 aprile 2018) e vive, valutando però l’ipotesi di rientrare in Italia.
Trasferimento in Italia
In risposta all’interpello n. 34/2019 specifica che per accedere al regime di vantaggio per impatriati, in base a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 16 del Dlgs 147/2015 è necessario che i soggetti, cittadini e non dell’Unione europea, che trasferiscono in Italia la residenza fiscale a partire dal 2016:
- non siano stati residenti in Italia nei cinque periodi d’imposta precedenti il trasferimento e si impegnino a restare in Italia per almeno due anni;
- svolgano l’attività lavorativa presso un’impresa residente in Italia in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllano la stessa impresa ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa;
- prestino l’attività lavorativa prevalentemente in Italia;
- rivestano ruoli direttivi ovvero siano in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.
Tenendo in considerazione tale precisazione, è positiva la risposta delle Entrate al quesito relativo all’accesso al regime speciale per gli impatriati a un lavoratore nato in Belgio, laureatosi in ingegneria civile a Pisa nel 2000, che è stato residente all’estero dal 15 maggio 2011 al 19 luglio 2018 (periodo durante il quale ha svolto ininterrottamente attività di lavoro dipendente presso una società) e che successivamente ha trasferito la residenza in Italia (20 luglio 2018) ed è stato assunto (con contratto a tempo determinato per cinque anni con la qualifica di dirigente) da una società italiana (1° settembre 2018), impegnandosi a restare in Italia per almeno due anni.
Residenza e studio/lavoro continuativo fuori dall’Italia
Con la risposta 36/2019 ribadisce che solo al verificarsi di tutti i presupposti richiesti dal comma 2 dell’articolo 16, è possibile fruire del regime speciale dei lavoratori impatriati dal 2019. Se il lavoratore non ha acquisito un titolo di laurea nel territorio dello Stato prima di avere svolto attività lavorativa all’estero, per poter fruire del regime speciale per lavoratori impatriati al suo rientro in Italia, in alternativa, dovrà soddisfare contemporaneamente le condizioni previste dal comma 1, dell’articolo 16.
Nel caso esaminato dalle Entrate, l’attività lavorativa svolta nel Regno Unito dall’interpellante aveva subito un’interruzione tra la risoluzione di un primo contratto di lavoro dipendente e l’inizio di un nuovo lavoro. Inoltre l’interpellante risultava iscritto all’AIRE dal 14 ottobre 2015 e pertanto, in applicazione dei criteri previsti dall’articolo 2, Tuir, deve ritenersi fiscalmente non residente in Italia dal 2016.
Ne consegue che la condizione di un periodo minimo di residenza fiscale all’estero (richiesta dal comma 2 dell’articolo 16) risulta soddisfatta con il periodo d’imposta 2017. Non vi era però una piena coincidenza temporale tra lo svolgimento dell’attività lavorativa all’estero per ventiquattro mesi (o più) e l’iscrizione all’AIRE per il periodo minimo di due periodi d’imposta: in merito l’Agenzia precisa che i due requisiti devono essere presenti in capo al soggetto nel momento in cui rientra in Italia per svolgervi attività lavorativa acquisendo la residenza fiscale nel nostro Paese, non rilevando la contemporaneità della loro maturazione.
Relativamente alla durata dell’attività di studio svolta all’estero in modo continuativo negli ultimi ventiquattro mesi per il conseguimento di un titolo di laurea o di una specializzazione post lauream (articolo 16, comma 2, Dlgs 147/2015), il requisito si ritiene soddisfatto a condizione che il soggetto consegua i titoli aventi la durata di almeno due anni accademici (cfr circolare n. 17/E del 23 maggio 2017).