Studi di settore: le Pmi si adeguano ma non si piegano

di Paolo Sebaste

Pubblicato 10 Febbraio 2009
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:42

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Con il giro di boa definitivo al Senato, che ha convertito in legge il D.L. 185/2008 si concretizzano le speranze di una miriade di Pmi ed imprese artigiane di vedersi riconosciuta, per il futuro, la possibilità  di dichiarare un reddito in linea con l’attuale pesante congiuntura economica. Tra le norme contenute nel decreto convertito in legge, infatti, ci sono anche le disposizioni sull’adeguamento dei criteri di determinazione del reddito con lo strumento degli studi di settore agli effetti determinati dalla crisi.

Ancora pochi giorni fa la Confesercenti con un proprio comunicato faceva eco alle dichiarazioni del Ministro del Welfare Maurizio Sacconi, che annunciava l’approvazione delle misure per la revisione degli studi di settore in tempo utile per il 2009.

La norma presentata nella forma di emendamento blindato del Governo e approvata dalle due Camere si integra con l'altra disposizione, contenuta nella Legge 6 agosto 2008, n. 133, che ha convertito il Decreto Legge n. 112 del 2008 e che anticipava al 31 dicembre dell'anno passato l’approvazione degli studi revisionati per il 2008.

Nei fatti, gli studi di settore sono peraltro vissuti, sempre più comunemente, come una sorta di vero e proprio meccanismo automatico di pressione fiscale verso il quale non è possibile altra soluzione oltre l'adeguamento ai valori ricavati dagli indici, e calcolati per determinare i redditi di imprese di piccola dimensione operanti in ogni settore merceologico.

Con la crisi economica, si è manifestata in modo (purtroppo) plateale la condizione di rigidità  insita in questo strumento, spingendo in qualche caso le intenzioni di piccole imprese ed imprese artigiane a “sfidare” il fisco, non conformandosi ai livelli imposti, ritenendosi ingiustamente penalizzate, ed aumentando contemporaneamente il numero delle imprese che giudicano non rispondente alla realtà  il meccanismo deduttivo di determinazione del reddito, come emerge da un sondaggio condotto a livello locale dall'Unione Artigiani della provincia di Milano.

Se si aggiungono infine gli “effetti collaterali” derivanti dalla determinazione automatica del reddito delle piccole imprese che per la Confartigianato, arrivano persino a condizionare il diritto di questa categoria di contribuenti ad usufruire di prestazioni a carattere sociale, allora si comprendono le motivazioni che spingono tante Pmi ad adeguarsi ma non a rassegnarsi alla determinazione di un reddito che in molti casi rischia di rivelarsi virtualmente congruo ma realmente sovrastimato.