La quota 100 è una misura efficace ma non deve sostituire l’APE sociale: è la posizione della UIL, che ha analizzato le conseguenze della misura in arrivo con la prossima Legge di Bilancio su alcune categorie specifiche di lavoratori, per le quali continuerebbe ad essere più utile l’APE sociale. Il sindacato confederale chiede un incontro al Governo per discutere della riforma previdenziale:
abbiamo delle proposte su cui discutere, insieme, nell’interesse dei lavoratori e del Paese.
Il punto è il seguente: i lavoratori che attualmente hanno diritto all’APE sociale, non hanno convenienza ad andare in pensione con la quota 100, perché con l’attuale normativa di fatto possono ritirarsi con una sorta di quota 93.
Spiega il segretario confederale, Domenico Proietti: con la quota 100, i disoccupati, i caregiver, e i lavoratori disabili «vedrebbero peggiorata la propria situazione, con un ritardo di accesso alle pensioni che può arrivare fino a quattro anni, nel caso di disoccupati e di lavoratrici madri che dovranno attendere la pensione di vecchiaia a 67 anni. Ritardo, poi, che sarebbe ulteriormente aggravato dall’introduzione di requisiti elevati come l’età minima necessaria a 64 anni o un’anzianità contributiva che non tiene pienamente conto di tutti i contributi maturati dai lavoratori, con un’inaccettabile penalizzazione per le donne e per le aree più deboli del Paese».
Più nello specifico, le prime tre categorie di lavoratori attualmente interessati all’APE sociale, ovvero disoccupati, caregiver e disabili, di fatto accedono alla pensione con la «quota 93, quindi con un notevole anticipo rispetto a un’ipotetica quota 100, mentre chi svolge mansioni gravose può accedere all’Ape sociale con quota 99, già a partire dall’età di 63 anni».
Come si vede, in tutti i casi l’APE sociale è quindi conveniente rispetto alla quota 100.
Esempi: un lavoratore disoccupato di 63 anni, oggi con l’APE sociale può ritirarsi con 30 anni di contributi, quindi appunto con la quota 93. Un addetto a mansione gravose, invece, alla stessa età (quindi, 63 anni), può ritirarsi con 36 anni di contributi, quindi con una sorta di quota 99.
La soluzione di lungo termine proposta dal sindacato confederale:
estendere l’accesso alla pensione intorno ai 63 anni per tutti i lavoratori e per tutte le lavoratrici.
Insieme a Cgil e Cisl la sigla confederale chiede un incontro al Governo per discutere delle riforme previdenziali che verranno inserite nella prossima manovra.