Confindustria: Decreto Dignità da correggere

di Anna Fabi

Pubblicato 18 Luglio 2018
Aggiornato 19 Luglio 2018 12:16

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I dubbi di Confindustria alla Camera sul Decreto Dignità: la norma rischia di non centrare l'obiettivo di migliorare la qualità dell'occupazione, i contratti a termine non per forza aumentano la precarietà.

I contratti a termine non hanno aumentato il precariato, anzi spesso hanno sostituito rapporti di lavoro che precedentemente erano regolati da strumenti maggiormente precari, come le collaborazioni coordinate e continuative e i voucher lavoro. Bene alcune delle misure contenute nel Decreto Dignità, come la riduzione da tre a due anni del tempo massimo di applicabilità del tempo determinato, e da cinque a quattro del numero di rinnovi possibili, mentre per il resto il provvedimento andrebbe modificato. Soprattutto sul fronte delle causali, che non tutelano effettivamente il lavoratore mentre aumentano il contenzioso. E’ la posizione, critica, di Confindustria espressa nel corso delle audizioni presso la Commissione Lavoro della Camera sulla conversione in legge del Decreto Dignità.

Precarietà nel mondo del lavoro

«Noi pensiamo che il decreto parta da presupposti sbagliati, e non tenga in considerazione i dati effettivi degli ultimi anni» sottolinea Marcella Panucci, direttore generale di Viale Astronomia, secondo la quale non è vero che ci sia un aumento eccessivo della precarietà. «Fermo restando l’obiettivo che condividiamo di combattere l’abuso di forme contrattuali che determinano precarietà, le misure sono eccessive rispetto all’obiettivo», argomenta Confindustria, che presenta a supporto un serie di dati.

L’aumento del numero di contratti a termine «è determinato da fattori non anomali, al contrario. Dal 2014 è iniziata una ripresa del ciclo economico, con prospettive però incerte», e per questo «è aumentata l’occupazione a termine. Fino a quando l’impresa non ha certezze sulle prospettive assume, ma stabilizza solo quando le esigenze produttive sono stabili».

In parole semplici, i contratti a termine sono considerati dalle imprese uno strumento adeguato per incrementare l’occupazione in periodi caratterizzati da incertezza economica. Fra l’altro, prosegue l’audizione, questi contratti sono aumentati soprattutto in settori dove questa tipologia di rapporto di lavoro è relativamente normale: commercio, turismo, servizi alla persona.

Confindustria presenta anche calcoli in base ai quali addirittura i contratti a termine sono aumentati del 15% dopo l’abolizione delle collaborazioni coordinate e continuative e dei voucher lavoro. Quindi, si è determinato un passaggio verso una forma contrattuale più tutelante per il lavoratore. In sintesi «non ci pare che i dati supportino questa preoccupazione sull’aumento della precarietà determinata dai contratti a termine». Il cui utilizzo, in Italia, è in linea con la media UE (intorno al 16%). C’è anche un dato positivo sull’aumento delle trasformazioni a tempo indeterminato, +26% dal 2015.

La proposta di Confindustria: favorire la transizione verso l’indeterminato attraverso misure che agiscano sul costo del lavoro. Non reintrodurre la causale, rendendo quindi possibile due anni di contratto a tempo determinato, con un massimo di quattro rinnovi, senza causali, che «non sono un elemento di tutela per il lavoratore, ma rappresentano un onere e un rischio per l’impresa», legato appunto al contenzioso.

Delocalizzazioni

Posizione critica anche sulla norma relativa alle delocalizzazioni (sanzioni per le imprese che delocalizzano dopo aver utilizzato incentivi pubblici). Anche qui, Confindustria condivide l’obiettivo, ma ritiene siano necessari correttivi. In primis, introducendo una chiara distinzione fra delocalizzazione “buona”, ovvero internazionalizzazione (che anzi, andrebbe incentivata), e delocalizzazione “cattiva”. Va anche chiarito che la delocalizzazione “cattiva” deve riguardare l’attività o il bene agevolato e non l’intera attività dell’impresa, stabilendo quindi una perfetta coincidenza fra beni agevolati e delocalizzazione. In pratica, secondo gli imprenditori «manca una definizione chiara sulla delocalizzazione rilevante ai fini dell’applicazione della norma, che rischia quindi di essere incerta e punitiva». Infine, le sanzioni pari a quattro volte l’importo delle agevolazioni utilizzate è considerato eccessivo.

La risposta del Governo

Risponde a stretto giro di posta il Ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio: «non possiamo più fidarci di chi cerca di fare terrorismo psicologico per impedirci di cambiare. Il Decreto Dignità combatte il precariato per permettere agli italiani, soprattutto ai più giovani, di iniziare a programmare un futuro. Cioè permette di creare quelle condizioni che sono la base per fare impresa, per rilanciare i consumi e per creare un circolo virtuoso». «Sono convinto – aggiunge il ministro -, che gli effetti del Decreto Dignità porteranno anche Confindustria a questa conclusione».