La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Dignità non segna solo l’entrata in vigore delle misure contenute nel provvedimento, ma provoca anche un’aspra polemica sull’impatto delle misure contenute in termini di ricadute sui posti di lavoro.
La stretta su contratto a termine e costi del licenziamento è operativa da sabato 14 luglio, giorno successivo alla pubblicazione del testo integrale in Gazzetta. Quindi, le misure previste (causale dopo i primi 12 mesi, rinnovi fino a 24 mesi), non si applicano ai rinnovi dei contratti in essere a quella data ma soltanto a quelli stipulati successivamente.
Esempio: contratto a termine di un anno in scadenza il 31 luglio. Al rinnovo si applicano le nuove regole, perché la data è successiva al 14 luglio, di conseguenza ci vuole la causale, che deve essere motivata da «esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori», oppure «esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria».
Attenzione: come annunciato, è stata inserita la parte che tutela i contratti stagionali, che non necessitano di causalone (nemmeno per il rinnovo dopo i 12 mesi).
E veniamo alla polemica, che riguarda la relazione di accompagnamento al provvedimento. I ministri dell’Economia, Giovanni Tria, e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, hanno emesso un comunicato congiunto nel quale si chiedono a chi appartiene «la manina» che ha aggiunto una tabella alla relazione tecnica dalla quale emerge che le misure contenute nel decreto costerebbero 8mila posti di lavoro in meno ogni anno.
«Non è un numero messo dai miei ministeri o da altri ministri della Repubblica. La verità è che questo decreto ha contro lobby di tutti i tipi», aveva tuonato il ministro Di Maio, prima del comunicato congiunto con l’Economia che, di fatto, sottolinea come in effetti nemmeno la Ragioneria dello Stato sia intervenuta in alcun modo. Le stime sui posti di lavoro, sottolinea invece il ministro Tria, sono di fonte INPS, «prive di basi scientifiche e in quanto tali discutibili».
Immediata la replica del presidente INPS, Tito Boeri:
«siamo ai limiti del negazionismo economico. Il provvedimento comporta un innalzamento del costo del lavoro per i contratti a tempo determinato e un aumento dei costi in caso di interruzione del rapporto di lavoro per i contratti a tempo indeterminato. In presenza di un inasprimento del costo del lavoro complessivo, l’evidenza empirica e la teoria economica prevedono unanimemente un impatto negativo sulla domanda di lavoro. In un’economia con disoccupazione elevata, questo significa riduzione dell’occupazione. E’ difficile stabilire l’entità di questo impatto, ma il suo segno negativo è fuori discussione.La stima dell’INPS è relativamente ottimistica. Prevede che il 10% dei contratti a tempo determinato che arrivano a 24 mesi di durata non vengano trasformati in altri contratti, ma diano luogo a flussi verso la disoccupazione riassorbiti al termine della durata della Naspi. Non si contemplano aggravi occupazionali legati alle causali.
Boeri definisce anche la reazione di Tria e Di Maio «un attacco senza precedenti alla credibilità di due istituzioni nevralgiche per la tenuta dei conti pubblici nel nostro paese», ovvero l’INPS e la Ragioneria dello Stato.
La polemica è proseguita con il ministro dell’Interno, nonché vicepremier, Matteo Salvini, che chiede le dimissioni di Boeri, il quale risponde: «Se mi vogliono cacciare, mi caccino. Io, però, resto al mio posto».