Salvini li rivuole, Di Maio si oppone alle mire del collega vicepremier, che oltre a sicurezza e immigrazione vorrebbe mettere un piede anche negli ambiti che il capo politico del Movimento 5 Stelle intende tenere per sè. Agricoltura, turismo, lavori stagionali: questi i settori per i quali, secondo la Lega, i buoni lavoro dovrebbero essere reintrodotti. Sfruttando ovviamente il dibattito parlamentare del “decreto dignità” che sta per arrivare in Gazzetta Ufficiale per riproporne una versione giallobruna.
Anzi, solo bruna (cioè leghista), se è vero che il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Di Maio rimane estremamente guardingo:
(se) verranno reintrodotti per sfruttare di nuovo la gente allora si troverà un argine, anzi un muro in cemento armato del Movimento 5 Stelle.
Fuori dalla retorica parabolica che non mantiene mai alcuna promessa, si vede comunque una porta mezza chiusa per qualsiasi provvedimento intenda spingersi oltre un’interpretazione estremamente ristretta dei voucher introdotti dalla legge Biagi del 2003 durante il governo Berlusconi bis.
Nel corso degli anni, la loro portata è stata ampliata fino a ricomprendere in effetti troppe fattispecie lavorative. Oltre che, come molte inchieste hanno provato negli anni, a rimpiazzare – in modo del tutto illegale – contratti più stabili.
Fino al Far West che ha spinto l’esecutivo Gentiloni, nell’aprile 2017, come pura mossa strategica dettata dalle scelte elettorali di Matteo Renzi per disinnescare il referendum promosso per il maggio di quell’anno dalla Cgil, all’abolizione di quella forma di pagamento leggera, nata per le prestazioni occasionali e accessorie. Poteva avvalersene un’ampia platea di committenti, dalle famiglie al pubblico fino agli imprenditori in tutti i settori. Davvero troppi, in un primo momento. Poi troppo pochi. Anzi nessuno.
Sul punto è tornato anche Tito Boeri, presidente dell’Inps, che ha messo in evidenza il solito pasticcio all’italiana. L’economista ha spiegato a SkyTg24 Economia che quello dei voucher:
può essere uno strumento giusto e molto importante. In Italia quando c’è un abuso di qualcosa, si tende a eliminarlo. Noi avevamo fatto delle proposte per evitare questi abusi e limitare l’uso dei voucher alle giuste fattispecie”.
Anche perché oggi, ha spiegato Boeri:
è uno strumento del quale riusciamo a gestire la transazione.
Pochi ricordano, infatti, che in un primo restyling risalente al 2016 i voucher erano stati resi tracciabili: il committente doveva comunicare entro un’ora dall’uso, via sms o email, gli estremi della prestazione all’Ispettorato nazionale del lavoro, con sanzioni non salatissime ma comunque importanti, fino a 2.400 euro per ciascun soggetto coinvolto. Questo solo per dire che ci si sarebbe potuto lavorare ulteriormente e invece si è preferito ripiombare interi settori nel nero.
La realtà, infatti, è questa. C’è poco da girarci intorno. Senza i voucher gran parte di quei lavori stagionali – che certo non spariranno solo perché manca una formula adeguata per inquadrarli e remunerarli – si faranno fuori da ogni regola, pur minimale. O in modi ancora più “estremi” del voucher, che bene o male integrava una copertura assicurativa e previdenziale.
Per giunta, con l’irrigidimento dei contratti a tempo determinato e di quelli di somministrazione, scende anche l’attrattività di quel genere di soluzioni.
Su un punto Di Maio non sbaglia: i voucher come prima non possono tornare. Sarebbe inaccettabile sotto il profilo etico e anche come cortocircuito comunicativo. Il progressivo allargamento a ogni ambito possibile è stato il male assoluto di quello strumento, imbruttito alla pari sia dal centrosinistra che dal centrodestra, in uno slalom fra i ministeri di Cesare Damiano e Maurizio Sacconi che ha partorito negli anni un ircocervo nauseabondo.
Ma se i voucher vengono reintrodotti in certi settori, tipicamente stagionali, semplificano la vita a tutti e aiutano a tirare fuori dal grigio, se non dal nero, chi non avrebbe molta scelta.
Anche se, pure in quel caso, occorrerebbe fare una distinzione netta fra il cuoco che lavora sei mesi in hotel e il bracciante chiamato per pochi giorni. Ma è un altro discorso.
D’altronde, così come il lavoro non si crea per legge, c’è una parte di esso che per converso non si elimina per legge.
E il libretto famiglia così come il contratto di prestazione occasionale introdotti per la fase post-voucher da Gentiloni non sono decollati. Sono strumenti complicati e costosi, raccontava alla fine del 2017 Il Sole 24 Ore.
Senza contare che, almeno nel terziario – che tuttavia sarebbe in parte escluso dalla reintroduzione in discussione – la maggioranza dei voucheristi erano studenti, pensionati o persone con altri impieghi, magari part-time o sottopagati. Per quella platea l’abolizione dei voucher è stata una perdita secca e a volte drammatica.
Alla fine di novembre 2017, dunque sei mesi dopo l’introduzione, risultavano appena 10.902 utilizzatori del libretto famiglia, 32.193 utilizzatori del contratto di prestazione occasionale e 33.790 prestatori. Noccioline rispetto ai 134 milioni di voucher emessi nel 2016. Troppi, ovviamente, ma da 134 milioni a zero ce ne passa.
Gli alberi da frutto andranno spogliati dei loro prodotti, i tavolini dei ristoranti e dei bar sparecchiati, le piscine vigilate, i lavoretti di manutenzione effettuati, i dj per le serate verranno chiamati e così via. Se non ci saranno i voucher non ci sarà molto altro, di sicuro non un contratto a tempo indeterminato né, probabilmente, un determinato se non in rari casi.
Forse, in certe altre situazioni, qualche posto si recupererà con il lavoro a chiamata anche detto intermittente che però è un accordo di subordinazione, dunque più vincolante e magari inadeguato rispetto al voucher. Molto semplicemente, nella gran parte dei casi non ci sarà niente.
Mentre i timori sul voucher potrebbero essere ridimensionati, come ha spiegato Boeri:
È tracciabile, possiamo assicurarci che vengano pagati i lavoratori e i contributi, perché chiediamo alle aziende il versamento della remunerazione prima che venga effettuato il lavoro.
Insomma, non bisogna essere per forza leghisti per apprezzare un impiego moderato e limitato ai settori in cui serve davvero (soprattutto, verrebbe da dire se in Italia il controllo non fosse un’eccezione, un impiego vigilato) dei voucher.
Specialmente se l’alternativa è il solito sommerso a tinte tricolori.