L’indennità di disoccupazione corrisposta al lavoratore licenziato nel periodo tra il licenziamento illegittimo e la sentenza di annullamento non va detratta secondo il principio dell’aliunde perceptum dall’indennità di risarcimento che il datore di lavoro deve versare all’ex dipendente.
Il caso
A chiarire la questione è stata la Sentenza n. 11989/2018 della Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso di un lavoratore nei confronti di una società. Il dipendente era stato licenziato illegittimamente e in attesa della sentenza aveva perfetto percepito la NASpI.
Riduzione del risarcimento aliunde perceptum
Se il dipendente fosse stato assunto da un’altra azienda il risarcimento versato dal primo datore di lavoro, a seguito della sentenza che annullava il licenziamento, sarebbe stato ridotto proporzionalmente secondo il principio dell’aliunde perceptum, ossia “percepito altrove o da altra persona”).
In generale, infatti, il risarcimento spettante al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo al posto della reintegrazione nel posto di lavoro – prevista solo nei casi estremi di licenziamento discriminatorio, orale o fondato su motivi disciplinari immotivati – viene determinato detraendo l’aliunde perceptum, ovvero il reddito percepito per lo svolgimento, nel medesimo periodo, di un’altra attività lavorativa, oppure il reddito che il lavoratore avrebbe potuto percepire se si fosse fattivamente attivato alla ricerca di una nuova e diversa occupazione.
Tale riduzione non si applica nei casi in cui il secondo lavoro risulta compatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa a seguito del licenziamento, ovvero se il lavoratore avrebbe potuto svolgere contemporaneamente entrambe le attività lavorative anche se non fosse stato licenziato (Cass. sent. n. 7685/2016).
NASpI e risarcimento
Diverso è il caso in cui il lavoratore in attesa della sentenza ha percepito l’indennità di disoccupazione. I giudici spiegano che:
Detta indennità opera su un piano diverso dagli incrementi patrimoniali che derivano al lavoratore dall’essere stato liberato, anche se illegittimamente, dall’obbligo di prestare la sua attività.
Questo in virtù della “precarietà” dell’erogazione della disoccupazione, gli importi ricevuti dall’INPS, che potrebbe, una volta a conoscenza dell’avvenuta reintegrazione in servizio del lavoratore, chiedere la restituzione di quanto corrisposto, a differenza di quanto invece avviene in una fattispecie risarcitoria. In questo senso le somme percepite come NASpI non possono configurarsi come un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore, detraibile dall’ammontare del risarcimento del danno dovuto.