L’orario di lavoro caratterizza le modalità lavorative, dunque un’eventuale trasformazione deve obbligatoriamente essere concordata tra le parti.
Vediamo come dice la legge al riguardo e quali sono gli orientamenti di prassi.
Diritto all’orario di lavoro contrattuale
Per legge, la variazione unilaterale dell’orario di lavoro indicato nel contratto è inammissibile senza il consenso dell’interessato, come spiega il D.lgs. 61/2000 all’art.5:
Il rifiuto di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
La Corte di Cassazione ha confermato anche nella prassi tale disipozione. In particolare, ha stabilito che è illegittimo il licenziamento del lavoratore part-time che non accetti di modificare il rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno (full-time), così come non è inammissibile la trasformazione inversa qualora imposta (crf. Ordinanza n. 10142/2018).
Diritto al rifiuto di cambio orario
Questo significa che, nell’ottica di tutelare e incentivare il rapporto di lavoro part-time, il lavoratore ha il diritto al rifiuto di un prolungamento dell’orario senza che ciò sia causa di licenziamento.
Neppure nel caso in cui un contratto collettivo aziendale preveda il mutamento del regime orario a part-time come strumento alternativo alla collocazione in mobilità la regola della necessaria acquisizione del consenso scritto del lavoratore è stata ritenuta derogabile e, in applicazione della citata disposizione, si è sempre ritenuto che il rifiuto della trasformazione del rapporto non costituisse giustificato motivo di licenziamento (cfr. Cass. 14/07/2014 n. 16089 ed ivi le richiamate Cass. 12/07/2006, n. 16169, 17/03/2003 n. 3898).
Per la Cassazione, il rifiuto alla modifica unilaterale non costituisce giustificato motivo di licenziamento neppure in caso di licenziamenti collettivi.