Matteo Renzi e Sergio Marchionne: pur in un parterre che certo non difettava di personalità di rilievo a livello internazionale, sono stati il premier e l’amministratore delegato della Fiat i due grandi protagonisti del Forum Ambrosetti di Cernobbio 2014. Il capo del governo, fra l’altro, senza nemmeno partecipare fisicamene al tradizionale appuntamento che, nel primo fine settimana di settembre, vede riunirsi i massimi esponenti di istituzioni, politica, economia e finanza del pianeta sulle rive del lago di Como. E dovendo scegliere un terzo protagonista a cui affidare l’ultimo (o il primo?) gradino del podio, invece che un personaggio si potrebbe scegliere un tema, quello dell’impresa, e ancor più in particolare delle PMI. Perché su questo hanno messo l’accento, in modi diversi ma per certi versi in piena sintonia, Renzi e Marchionne. Il primo, ha scelto una morettiana assenza, il secondo un discorso sulla cultura d’impresa e del lavoro.
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Partiamo dal premier, che ha fatto la prima mossa annunciando l’intenzione di non andare a Cernobbio. Fin qui, nulla di eclatante in realtà: il premier in carica è tradizionalmente invitato al Forum Ambrosetti, ma non sempre si presenta sulle rive del lago. Anche Berlusconi, hanno ricordato le cronache di questi giorni, in diverse occasioni ha disertato. L’ospite governativo che non può mancare è il ministro dell’Economia, e Pier Carlo Padoan ha onorato l’appuntamento, così come sono stati presenti altri colleghi dell’esecutivo, come Angelino Alfano (Interni), Federica Guidi (Sviluppo Economico), Maria Elena Boschi (Riforme), Stefania Giannini (Istruzione), Beatrice Lorenzin (Salute), Maurizio Lupi (Trasporti), mentre il titolare del Lavoro Giuliano Poletti ha dato forfait all’ultimo minuto, causa mal di schiena.
I motivi per cui l’assenza di Renzi è stata particolarmente notata sono diversi: è in carica da pochi mesi, dunque ha disertato il debutto, lo ha fatto marcando per l’ennesima volta la distanza dai “salotti buoni“, e per finire, ciliegina sulla torta, nei giorni in cui sulla terrazza di Villa D’Este si alternavano i vip dell’economia mondiale, il premier visitava un’impresa produttrice di rubinetti nel bresciano. Dichiarando: « di là c’è un convegno in un hotel a cinque stelle sul lago con Barroso, Almunia ed Enrico Letta, di qua si apre un rubinettificio alla periferia di Brescia con Annibale, Domenico, Luciano, Elio». Una scelta, quella del premier, che non è isolata, si inserisce anzi nel solco inaugurato negli anni scorsi da un altro assente illustre dal Forum Ambrosetti, il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi.
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Per dirla in parole semplici, il premier snobba l’establishment e va in una start up della manifattura, una PMI. Perché
«i grandi esperti hanno fallito, mentre la rubinetteria è un settore d’eccellenza del made in Italy».
Dunque, la centralità dell’Italia produttiva, del ruolo delle imprese, dell’importanza delle start up, della qualità del Made in Italy.
E siamo a Marchionne, che invece a Cernobbio non solo ci è andato, ma ha pure fatto un discorsetto nel quale, a sua volta, al sistema Italia non le mandate a dire. Definisce l’Italia il paese dei gattopardi, che vogliono cambiare tutto per non cambiare niente, parla della necessità di fare impresa, attrarre investimenti, riformare il lavoro. Tre i problemi fondamentali che il paese deve risolvere, secondo il numero uno Fiat: mercato del lavoro (da riformare), certezza del diritto (che non c’è), burocrazia (eccessiva). Sul lavoro, parole dure: «il sistema italiano ha spostato lagestione della vita lavorativa dei cittadini sulle aziende». Risultato: 136esimo posto su 144 paesi per efficienza del mercato del lavoro. E ancora: una tassa come l’Irap è figlia di una cultura antindustriale.
L’Italia deve trovare una sua via per il rilancio del mercato del lavoro, una forma di flexsecurity che sappia trovare un giusto punto di equilibrio fra flessibilità e sicurezza per i lavoratori. «Non vogliamo lavoratori usa e getta, ma persone coinvolte parte di un progetto per il futuro», incalza Marchionne. E allora: politiche attive per trovare lavoro, iniziative di formazione anche per aziende, sistema di protezione sociale moderno che sostenga i redditi e agevoli la mobilità del lavoro. E un nuovo modello di relazioni industriali, che superi le contrapposizioni ideologiche fra lavoratori e impresa. L’auspicio del manager è che il Jobs Act riesca a trovare la giusta ricetta. Al governo, «giovane e con un gruppo di persone destinate a scardinare il sistema», un consiglio operativo: «scegliete tre cose, realizzatele, e poi passate alle tre successive».