L’Italia è ancora in punto di morte e la stima preliminare del PIL relativo al secondo semestre 2016 è una chiara dimostrazione del fallimento della classe politica. Crescita zero per l’Italia mentre l’iniezione di liquidità messa in atto dalla Banca Centrale Europea ormai riesce soltanto a galvanizzare le Borse europee senza produrre gli effetti sperati in capo alle imprese. Anche perché imprenditori e manager hanno perso ormai la fiducia: le promesse hanno perso appeal e non attecchiscono più.
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Secondo le stime INSTAT, nel secondo trimestre 2016 il Prodotto Interno Lordo è rimasto praticamente invariato rispetto al trimestre precedente mentre risulta essere aumentato di un leggerissimo 0,7% nei confronti del secondo trimestre 2015. A confronto con il Pil dei Paesi dell’area Euro verrebbe da piangere: +0,3% rispetto al trimestre precedente e +1,6% rispetto allo stesso trimestre del 2015. Insomma l’Italia non cresce neppure la metà di quanto sia cresciuta la media dei Paesi europei.
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A questo punto cominciano a vacillare gli obiettivi di crescita fissati dal governo. Forse quell’1,2% era una previsione alquanto ottimistica. E tutto questo nonostante i quantitative easing utilizzati dal numero uno delle Bce, Mario Draghi, abbiano iniettato liquidità all’interno del mercato europeo. Non solo: due importanti strumenti messi in atto dal governo italiano, nello specifico la Sabatini e il maxi ammortamento al 140%, se questi sono i risultati non sono serviti praticamente a nulla. Causa di tutto ciò? Secondo il Mef i segnali di rallentamento globale dell’economia si andavano accumulando già da tempo. Negli ultimi mesi, poi, sono emersi o si sono rafforzati fattori di rischio geopolitico che hanno avuto un impatto negativo sulla crescita italiana tra cui la minaccia del terrorismo, la crisi dei migranti e la Brexit. Certamente si tratta di temi importanti quelli avanzati dal Ministero. Ciò che non si spiega è perché, pur avendo i medesimi rischi, gli altri Paesi europei hanno avuto una crescita più significativa rispetto a quella dell’Italia.
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Addirittura la Brexit per la Gran Bretagna sembra avere avuto un effetto tonificante: tra il 23 giugno 2016, giorno in cui si votava a favore o contro la fuoriuscita dall’Unione Europea della Gran Bretagna, e il 15 agosto il principale indice britannico ha guadagnato più del 9% contro una perdita superiore al 5% del listino italiano. Non solo. A livello di PIL in termini tendenziali, nel Regno Unito si è registrato un aumento del 2,2%. E’ forse il caso che il governo la smetta di pensare a referendum, banche e bail in e cominci a pensare un po’ più seriamente alle imprese?