Le PMI sono la chiave italiana per svoltare, soprattutto se puntano su innovazione, ricerca, internazionalizzazione, ma su queste imprese il sistema paese deve disegnare «un abito su misura, adatto alla gara che devono correre, fatto di credito e finanza, di ulteriore sostegno sui mercati esteri, di ricerca e innovazione con un fondo speciale a loro dedicato, di formazione a tutti i livelli che dobbiamo strutturare con i nostri fondi bilaterali»: Giorgio Squinzi ha dedicato alle piccole e medie imprese ampi passaggi del suo discorso all’assemblea annuale di Confindustria, che si è tenuta all’EXPO 2015 (una scelta che hanno fatto tutte le principali associazioni imprenditoriali, da Confartigianato a Confcommercio).
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«Abbiamo un portafoglio che si stima essere tra le 15 e le 20mila piccole e medie imprese che esportano, fanno innovazione, cercano finanza per la crescita industriale, integrano l’information technology nei prodotti, assumono talenti e parlano le lingue del business globale» ha sottolineato il presidente di Confindustria. E «da queste piccole e medie imprese devono nascere le nuove multinazionali tascabili e i grandi campioni industriali dei prossimi decenni. Hanno tutte le carte in regola per crescere e per rafforzare il nostro ruolo di hub manifatturiero». Ma nel mondo interconnesso del terzo millennio, l’intuito, la volontà, le capacità di «imprenditori che il miracolo lo fanno tutti i giorni con i loro lavoratori», non bastano più.
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Occorre fare sistema, per aiutare gli imprenditori a «innovare di più, capitalizzare, fare più formazione e collegarla all’innovazione, lanciare nuovi investimenti sul prodotto, investire sul management, potenziare il marketing e le funzioni commerciali». Battere una «cultura anti-industriale» ben radicata è, secondo Squinzi, «la riforma più difficile che dobbiamo realizzare». Gli imprenditori «hanno bisogno di sentire intorno a sé una società che considera l’impresa come un patrimonio e un valore da difendere», ma il problema è che «le migliaia di norme che si sono stratificate negli anni per rendere dura la vita dell’imprenditore, dobbiamo ammettere che hanno avuto un certo successo».
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Squinzi più che alla politica si rivolge alla società civile nel suo insieme, partendo dalle parti sociali, perché «la semplificazione si costruisce nella cultura e nei comportamenti collettivi», costruendo un «percorso di crescita civile fondato su chi investe e chi rischia, sul premiare chi è responsabile e crea lavoro, sull’imparare a restituire i risultati di ciò che si promette». Sono necessarie «relazioni industriali moderne», e qui c’è la richiesta di «maggior sintonia» con i sindacati, ai quali si chiede in particolare di rendere «più forti e stringenti» i «legami fra dinamica dei salari e miglioramenti della produttività». Positivo il parere del presidente di Confindustria sul nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti previsto dal Jobs Act, che «contrasta la precarietà, responsabilizza le imprese a investire sulle persone e consente di sperimentare nuovi modelli organizzativi». Le richieste: un welfare più equo, tagli alla spesa pubblica, meno burocrazia e più efficienza da parte della pubblica amministrazione.