Due decisioni di segno opposto pronunciate dalla Cassazione.
Con la prima (ordinanza n. 20499/11) la Corte ha sancito l’obbligo del avvocato di versare l’imposta IRAP perché collaboratore di uno studio legale. Nel secondo caso, invece, (sentenza n. 20454/11) gli Ermellini non hanno ritenuto che il tributo fosse dovuto in funzione di un lavoro svolto in proprio e con pochi mezzi, nel caso specifico da un tassista.
Esaminando le due decisioni va rilevato come la Corte abbia corretto la tesi della commissione tributaria regionale secondo cui l’inserimento del legale in una struttura già esistente e la mancanza del requisito dell’abitualità dell’esercizio di un’attività autonomamente strutturata, avrebbe comportato l’insussistenza dell’organizzazione e, quindi, del versamento.
La Corte ha, invece, escluso il tassista dal versamento dell’Irap. Questo perché si tratta di un’attività svolta da un piccolo imprenditore che utilizza beni strumentali minimali e strumentali all’attività , quali il mezzo di trasporto, un computer e un cellulare.
Due sentenze di segno opposto che per l’appunto mettono ancora una volta in evidenza come in materia non si possa fissare un principio per cui l’imposta sia dovuta o meno, ma in cui è ancora necessaria l’analisi del singolo caso.