Aziende in perdita finanziate a rischio bancarotta

di Francesco Mantica

Pubblicato 22 Settembre 2011
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:39

L’imprenditore che, nonostante abbia una società  in perdita, continui a finanziare con mezzi propri l’azienda senza valutarne le prospettive e pregiudicando gli interessi dei creditori rischia una condanna per bancarotta.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una sentenza a fine agosto, confermando la condanna per due imprenditori che avevano continuato a finanziare la propria azienda a fronte dell’assenza di risultati economici, con il risultato di aumentarne il dissesto finanziario.

Sebbene fin dall’inizio si fossero manifestati, nell’attività  imprenditoriale intrapresa, dei limiti di redditività  tali da pregiudicare fin da subito la buona possibilità  di riuscita degli investimenti, i due imprenditori si sono impuntati nel continuare a investire, realizzando perdite tali erodere l’intero capitale sociale fin dal primo anno. Lo squilibrio è poi, come hanno rilevato i giudici, sistematicamente aumentato a causa della “caparbia pervicacia ma oltretutto imprudente esecuzione dell’attività , in mancanza di una attenta valutazione dele reali prospettive dell’impresa”.

Il risultato finale è stato così quello di creare una posizione debitoria “irrecuperabile”, con conseguenti fallimento e accusa di bancarotta. La Corte, nello specifico, ha dato una definizione precisa di dissesto, intendendo con questo non tanto il “generico disordine dell’attività  della società “, quanto piuttosto “una situazione di squilibrio patrimoniale progressivo che, se non fronteggiata con opportuni investimenti, può comportare l’aggravamento inarrestabile della situazione debitoria”.

La condanna in definitiva è stata dunque di bancarotta per aggravamento del dissesto. L’azione, in sé, non è ovviamente condannabile, nel senso che non è illegale investire nella propria attività  se ci si crede, anche a costo di rimetterci. Ciò che viene leso in questo caso, però, è un diritto altrui: gli interessi dei creditori. Il limite tra una condotta legale e una illegale sta dunque in una corretta valutazione delle prospettive reali della propria impresa.