Secondo la Suprema Corte, non ha diritto a essere inquadrato come dipendente chi lavora per trent’anni come collaboratore, 24 ore alla settimana e con stipendio fisso. Ad escludere il vincolo di subordinazione basta rifiutare qualche prestazione richiesta dal datore.
A questo approdo giurisprudenziale è giunta la Corte di Cassazione che, con la sentenza numero 17833 del 30 agosto 2011, ha respinto il ricorso di una logopedista che aveva lavorato presso una srl dall’81 al 2001, con una media di 24 ore settimanali.
La Cassazione ha applicato anche a questo caso limite (data la durata della collaborazione) un principio ormai consolidato, secondo cui «costituisce requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato, ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo, il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative».
Peraltro, sempre quest’anno con la sentenza n. 8845, un altro Collegio della Sezione Lavoro ha stabilito che una piccola contestazione fatta dal datore di lavoro al precario non dà diritto a quest’ultimo al contratto di lavoro subordinato.
In particolare, in quell’occasione Piazza Cavour ha motivato che «nell’ambito di un contratto di lavoro autonomo il mero screzio fra prestatore d’opera e committente, peraltro non sanzionato, non può essere ritenuto esercizio di un potere disciplinare e dunque indice della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, potendo detta circostanza rientrare nel potere di supervisione dell’opera richiesta dall’azienda».