Il debutto alla Borsa di Wall Street di LinkedIn non si è discostato dal solito copione che viene recitato ad ogni debutto col botto, soprattutto quando riguarda titoli di aziende della “new economy”. Anche nel caso del social network professionale, il già visto sembra essere andato in scena, e senza troppi imbarazzi, secondo i soliti schemi cari alla vecchia finanza e per di più con il rischio di azzoppare un’operazione annunciata come assolutamente eccezionale ma che, dato lo scetticismo quasi istantaneo con cui la Borsa ha reagito, danno l’idea che si tratti della solita operazione old style applicata pedissequamente ad un titolo che rappresenta una delle punte avanzate della new economy.
Dopo una partenza da brivido che, nella sola giornata del collocamento, ha piazzato il titolo attorno agli 85 dollari per azione (con punte di 93 dollari per azione), già al terzo giorno di contrattazione è spuntato qualche dubbio tra gli operatori.
Pericolo di una bolla speculativa in agguato?
La questione diventa molto importante in considerazione del fatto che il collocamento in Borsa di LinkedIn precede sulla rampa di lancio del mercato azionario ben altri calibri del settore.
Sono infatti in fase di decollo colossi del calibro di Facebook, Twitter e Groupon. Una sorta di prova in grande stile per sondare l’interesse degli “investitori”.
La pattuglia dei social network osserva dunque con interesse gli esordi del “cugino piccolo”. Il debutto in borsa di LinkedIn è comunque il più significativo del settore dopo la quotazione di Google nel 2004, ed è interessante avere indicazioni sulle reazioni del mercato che, almeno nella prima giornata, hanno prospettato la possibilità di acquistare in un brevissimo spazio di tempo un valore esorbitante con il collocamento a Wall Street.
Resta da valutare se l’operazione sia in grado di reggere la diffidenza che, a breve giro, ha gia iniziato a circolare negli ambienti finanziari, sostenuta dalla lettura di indicatori che, nel caso LinkedIn, più che far gridare al miracolo fanno tornare alla mente i fasti ma (soprattutto) le disgrazie delle dot-com bubble dei mitici anni ’90.
Nemmeno l’amara lezione della crisi finanziaria mondiale, che ancora condiziona le politiche economiche dei Governi di tutto il mondo, è servita a rendere attuale la regola che il collocamento in borsa è mirato a raccogliere capitali per far crescere le imprese e non solo a produrre ingenti masse finanziarie a volte rivelatesi assolutamente “virtuali”.