Mansioni e inquadramento del lavoratore: quando possono cambiare

di Roberto Grementieri

Pubblicato 20 Maggio 2011
Aggiornato 3 Aprile 2019 11:36

Il cambio di mansione può avvenire anche senza il consenso del lavoratore ma con alcuni limiti: vediamo quali.

Il datore di lavoro è tenuto a indicare, all’atto dell’assunzione, le mansioni che rappresentano l’oggetto della prestazione lavorativa. In relazione alle mansioni vengono quindi stabilite qualifiche e categorie.

Le mansioni assegnate possono mutare con il consenso del lavoratore o per decisione unilaterale del datore di lavoro, in virtù del potere di determinare la struttura dell’organizzazione aziendale.

Il cambio di mansione, tuttavia, è vero che può attuarsi anche senza il consenso del lavoratore, ma con alcuni limiti.

E’ possibile adibire il lavoratore a mansioni:

a) equivalenti alle ultime effettivamente svolte, con pari trattamento retributivo.
Il concetto di equivalenza va inteso in senso professionale, nel senso cioè che le nuove mansioni devono consentire il perfezionamento delle esperienze, nozioni, già  acquisite dal lavoratore;

b) mansioni superiori; in questo caso, il prestatore ha diritto al trattamento economico e normativo corrispondente alla nuova attività  svolta, mentre l’assegnazione alle mansioni superiori diventa definitiva dopo un periodo fissato dai contratti collettivi.