Secondo la sentenza della Cassazione del 28 ottobre 2010, n. 22029, la ratio che giustifica il licenziamento in caso di svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente durante il periodo di malattia va ravvisata nella violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà .
Oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio.
Nella vicenda esaminata dalla Suprema corte, un lavoratore conveniva in giudizio la società datrice di lavoro per ottenere l’annullamento del licenziamento. La società , infatti, gli aveva contestato di aver svolto attività lavorativa esterna all’azienda, nel periodo in cui risultava assente dal lavoro.
Il Tribunale adito riteneva il licenziamento legittimo. La sentenza veniva confermata in appello.
I Giudici di Piazza Cavour hanno precisato che la valutazione in ordine alla compatibilità dell’attività svolta con la malattia e all’idoneità di tale attività a pregiudicare o ritardare il recupero delle normali energie psico-fisiche, costituisce un accertamento riservato al giudice di merito, non censurabile in sede di ricorso in Cassazione e che discrimina la legittimità o meno del licenziamento.