Se è vero che indossare la divisa è una condizione necessaria e obbligatoria per alcune categorie di lavoratori, è pure vero che il tempo dedicato alla vestizione/svestizione che avviene in servizio deve essere computato come orario di lavoro e quindi retribuito.
E’ questa la conclusione che si trae dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 19358 del 10 settembre 2010.
Un gruppo di dipendenti ha convenuto in giudizio il datore di lavoro, domandando il pagamento dell’equivalente di venti minuti di retribuzione giornaliera per 45 settimane, a fronte del cd. tempo di divisa.
Secondo le direttive datoriali, per entrare nel perimetro aziendale, i dipendenti dovevano transitare per un tornello apribile mediante tesserino magnetico, indi percorrere cento metri ed accedere allo spogliatoio, indossare gli indumenti di lavoro forniti dall’azienda, effettuare una seconda timbratura del tesserino prima dell’inizio del lavoro; al termine, dovevano effettuare una terza timbratura, accedere allo spogliatoio per lasciare gli abiti, passare una quarta volta il tesserino al tornello ed uscire.
La Corte di Cassazione ha precisato che:
“nel rapporto di lavoro deve distinguersi una fase finale, che soddisfa l’interesse del datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni o attività accessorie e strumentali, da eseguire nell’ambito della disciplina d’impresa ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro il quale, ad esempio, può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria.
Di conseguenza, al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro (tempo estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale) deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva“.